Le discussioni sulla “elle” veneta, sulla elle evanescente caratteristica della lingua veneta sono riprese con particolare vigore in queste ultimi giorni; per la verità non si erano mai sopite.
La “scomparsa” della elle
E questo grazie a un articolo a tutta pagina di Alessandro Marzo Magno sul Gazzettino di domenica otto maggio con l’intervento autorevole del prof. Lorenzo Tomasin, linguista, docente all’Università di Losanna, a capo del progetto del “Vocabolario storico etimologico del veneziano” e di Silvio Testa, già giornalista dello stesso Gazzettino, il quale su un giornale online denunciava la scomparsa della “elle” nel veneziano.
Silvio Testa portava l’esempio di un bacaro denominato “Ae bricoe”, ricordando altresì la recente scomparsa di Maurizio Calligaro, da sempre chiamato “Caligo” e ricordato come “Caigo”; permettetemi un commosso ricordo dell’amico Caligo, amico e collega per tanti anni in Consiglio Regionale e anche, fondatore della “Società Filologica Veneta” che fin dagli anni settanta del secolo scorso ha portato avanti una qualificata e importante battaglia a favore della lingua veneta.
Maurizio Crozza, le imitazioni di Zaia
Ma vorrei ricordare anche le fortunate imitazioni di Maurizio Crozza nelle vesti di Luca Zaia e di come evidenziava alcuni termini senza o con la elle evanescente; tutti ricordano tabea/tabella, cartea/cartella, Camia/Camilla, Mirea/Mirella ecc; giusto per sottolineare come sia una questione che tocca la lingua veneta nella sua totalità e non solo il veneziano.
Alessandro Marzo Magno ricorda di sfuggita il “Manuale di grafia veneta unitaria” edito, nell’ormai lontano 1995, dalla Regione; e proprio su quell’iniziativa vorrei ritornare, visto che, modestamente, ne sono stato l’ispiratore, pur non essendo, è bene specificare, un linguista, ma solo un propugnatore dell’uso della lingua veneta.
Beggiato assessore, era il 1993
Nel 1993 mi sono ritrovato, abbastanza casualmente, assessore regionale; era l’epoca di tangentopoli e chi mi ha voluto in Giunta è partito dalla semplice considerazione che non potevo essere preso con le mani nel vasetto della marmellata perché il famoso vasetto non sapevo neanche dove fosse …
Mi furono date deleghe che agli altri non interessavano, visto che non avevano grande ricaduta sul territorio: emigrazione (che con me si chiamò rapporti con i Veneti nel mondo), solidarietà internazionale, sport e, per un anno, enti locali.
La questione della grafia della lingua veneta
Pur non avendo una delega specifica mi buttai a capofitto su una questione che mi stava, e che mi sta, particolarmente a cuore: la lingua veneta e soprattutto, la questione della grafia.
L’esempio della Catalogna: la grafia unitaria
Studiando, da autodidatta, la questione catalana avevo compreso che la “fortuna” della lingua catalana era anche dovuta a un lavoro che era stato fatto a monte, relativo appunto a una grafia unitaria della lingua catalana. Così prendendo al volo una sollecitazione che mi arrivava da Serafina Correa, nel Rio Grande do Sul, la “capitale” del talian (o veneto-brasiliano) dove la lingua dei discendenti veneti era stata proclamata lingua ufficiale della cittadina durante la settimana della feste comunali, ho istituito una commissione, attraverso una regolare delibera, per arrivare appunto alla stesura di un manuale della grafia veneta.
E credo di poter dire, in tutta sincerità, di aver coinvolto personalità, nei vari settori, di assoluto prestigio.
Cortelazzo, Marcato, Canepari, Zamboni
Direttore scientifico fu nominato il prof. Manlio Cortelazzo, prestigioso docente dell’Università di Padova, organizzatore negli anni precedenti dei corsi di dialettologia veneta che tanto interesse avevano suscitato.
Il mondo universitario era rappresentato da altri tre docenti: Gianna Marcato dell’Università di Padova, autrice di diversi volumi di notevole successo, Luciano Canepari, linguista dell’Università Cà Foscari, e Alberto Zamboni linguista dell’Università di Padova prematuramente scomparso (1941-2010).
Il mondo culturale che parla veneto
Accanto a loro, esponenti del mondo culturale veneto, divulgatori della nostra lingua nelle varie sedi: Silvano Belloni, autore in particolare di una grammatica della lingua veneta particolarmente apprezzata, Dino Durante, scrittore e umorista, che con i suoi libri in lingua veneta ha venduto migliaia e migliaia di copie, Mario Klein direttore del mensile “Quatro ciacoe”, don Sergio Sacco, studioso e ricercatore dell’area bellunese, Maria Rosaria Stellin fondatrice della “Società Filologica Veneta” benemerita associazione culturale, e Ugo Suman all’epoca popolare divulgatore di storia e cultura veneta in diverse trasmissioni televisive.
Come si vede nella commissione avevo inserito rappresentanti del mondo universitario, ma anche studiosi, appassionati, divulgatori in modo di evitare un risultato troppo cattedratico ed elitario, ma che potesse essere utilizzato da chi aveva a cuore la nostra lingua e che la utilizzava quotidianamente sia attraverso la carta stampata che gli altri mass media.
La questione della elle evanescente
C’era veramente poco tempo, la delibera istitutiva è stata in data 14/9/1994 e la legislatura si chiudeva a marzo 95, ma lavorando alacremente si arrivò a stampare un pregevole manuale che doveva rappresentare, non un documento definitivo, ma un punto di partenza significativo, che , tra l’altro, definì l’uso della “elle” evanescente, stabilendo che vada scritta con la “elle” barrata.
Ecco cosa dice in proposito il Manuale di Grafia Veneta Unitaria:
La elle evanescente, tipica della lingua veneta
[i], [l, e] semiconsonante dorsopalatale rilassata
Si tratta di un suono tipico di alcune parlate venete, che sembra in espansione, chiamato di solito elle evanescente. Si realizza in due posizioni:
– all’inizio di parola seguito da vocale non palatale (a, o, u): late (latte it.), łongo (lungo it.) tuna (luna it.)
– tra vocali non palatali: goła (gola it.) gondoła (gondola) paròła (parola it.) svołàr(e) (volare it.).
Questo segno, che rappresenta un suono senza equivalente italiano (e tecnicamente definito da Giulio C. Lepschy “un’articolazione in cui l’aria passa attraverso un avvallamento nella parte centrale del dorso della lingua, sollevato verso la volta palatina, mentre i due lati del dorso della lingua sono a contatto con i lati della corona dei denti siperiori”), è stato scelto per la sua relativa semplicità nei confronti di altri fin qui adottati o proposti:
– ł, occupato però in un altro alfabeto, il polacco, con valore completamente diverso; – ‘l, col ricorso ad un segno grafico, l’apostrofo, che di solito denota un’elisione, che nel presente caso non c’è; – 1, già impiegato per un suono diverso; – j, usato anche in alcune trascrizioni scientifiche (per esempio nell’atlante italo-svizzero nella forma y) per la somiglianza con la semiconsonante anteriore, alla quale si avvicina, ma con la quale non si identifica; – e, semivocalico, che ha pure il pregio di essere molto vicino alla pronuncia reale, tanto da essere adottato, spesso nella forma semplificata e (scoea “scuola”), in scritti divulgativi e correnti; – ‘, semplice apostrofo, che qui non indica caduta completa di un suono, senza contare la trascuratezza di segnalare in qualche modo questa elle peculiare, restando fedeli alla diversa elle laterale originaria e lasciando ai lettori il compito di realizzarla foneticamente secondo la singola varietà linguistica.
Questa soluzione ha impedito di seguirne l’avanzata cronologica, tanto da indurre uno studioso provetto, come Gerhard Rohlfs, a dichiarare che “poiché i testi di epoca antica non conoscono questo fenomeno (e nemmeno lo stesso Goldoni), deve trattarsi di cosa molto recente”, contrariamente a quanto pensano altri ricercatori, che non negano al fenomeno una certa antichità.
Di segno contrario è la posizione dell’Anonimo da Piove che distingue anche due specie di 1 evanescente: una 1 di valore semiconsonantico e una ł molto più debole, semivocalica, che “scivola in un suono appena apprezzabile e che addirittura può sembrare soppresso”: le due elle evanescenti possono alternarsi anche nello stesso parlante a seconda della rapidità di pronuncia. In questa selva di pareri, sembra dover prevalere l’opportunità di non abbandonare, pur operando una distinzione grafica, il legame che lega la elle evanescente alla elle da cui proviene, che è tuttora nettamente pronunciata nelle varietà periferiche della regione, e insistendo sul fatto che non va in nessun modo segnalata quando è completamente (o quasi) caduta nella pronuncia, perché assorbita da una o due contigue vocali palatali (e, i).
Si trascriverà, quindi, tranquillamente agnèo “agnello”, cae “calle”, cassèa “cassetta”, cotoe “sottane” (ma còtoła), fio “filo”, spae “spalle” (ma spała).
Ettore Beggiato