23 Ottobre 2024
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Saverghene una più dea Serenissima Repubbrica: la saggezza di Burano

Burano è un posto speciale. Non solo per le case dai vividi colori, per il campanile storto, per i merletti e per i bussolai, per il Carnevale di Burano e per i pittori della cosiddetta Scuola di Burano, che hanno segnato di colore, di poesia, di bellezza e di pace la grande pittura veneta del Novecento, ribellandosi ai dettami artistici dell’interventismo e del Fascismo.

Burano, il rio de Terranova (foto di Jorge Franganillo, licenza CC)

Ma anche perché, nonostante si trovi in Laguna, poco distante da Venezia, Burano ha un’identità e un carattere propri. Essere buranello è diverso, e forse è perfino qualcosa di più, dall’essere semplicemente veneziano.

Il dialetto buranello

Anche la lingua che si parla a Burano è un veneziano diverso. A Venezia, per indicare l’isola, si dice Buràn, ma a Buran dicono Burà. E se dicono vogio, dicono oggio, con le sue belle doppie consonanti. Non dicono vogar, ma vuogà. Non campanil, ma campanì. Il dialetto buranello è antico e vanta autori illustri, come Andrea Calmo, che lo hanno usato nelle loro opere, anche se spesso per dileggiarlo, come parlata rustica, mentre invece è civilissima poesia, conservatrice di un veneziano antico.

Gino Rossi, Barene a Burano, 1911

E questa diversità di Burano continua orgogliosamente nella modernità. Non c’è alcun altro posto al mondo, crediamo, dove la lavatrice si chiama “la rodolante“. Ed è poesia anche questa, è pittura: perché lavatrice è il nome di una funzione, mentre rodolante è l’immagine visiva di un bambino che guarda incantato i panni danzare dentro l’oblò.

Il detto

Ma c’è un detto a Burano che mi è sempre piaciuto e che racconta tante cose. L’ho sentito la prima volta tanti e tanti anni fa. C’era un tizio di quelli che sanno sempre tutto, e per zittirlo il suo interlocutore buranello gli disse: “Lu che ghe ne sa una più dea Serenissima Repubbrica…“. Il sapientone, posto di fronte al monumento, per una volta non seppe cosa rispondere.

Dunque a Burano non si dice “saperne una più del diavolo”, ma “saperne una più della Serenissima Repubblica“.

L’isola di pescatori e la Repubblica

Ecco dunque l’isola di pescatori che vivevano accanto alla splendida, ricca e potente Venezia di un tempo che fu. Gente concreta, che lavorava duro, e che ogni mattina all’alba portava il pesce di mare al mercato di Rialto, perché i siori veneziani potessero metterlo sulle loro tavole.

E che doveva certamente sottostare alle mille regole di quella grande Repubblica burocratica che fu la Repubblica di San Marco. Sottostare alle regole, alle leggi, al latinorum, alle disposizioni delle inclite Magistrature, spesso probabilmente difficili anche da capire per la gente di Burano. Ma a quelle disposizioni, l’isola a un colpo di remi da Venezia doveva ben obbedire, se voleva lavorare, vendere, vivere.

La saggezza di Burano

Pensiamo a quella gente di Burano semplice e vera, ma anche saggia, intelligente e furba naturalmente, la gente che sotto sotto sa che i ricchi e il potere si possono alla fine ingannare. Pensiamo come si interrogasse quando gli ordini piovuti da Venezia parevano astrusi e non si capiva perché le orate dovessero misurare un piede veneto e le sardelle essere più lunghe del pesce inciso sul marmo al mercato di San Pantalon.

Ti vol saverghene una più dea Serenissima Repubbrica?!” Così si rispondevano, a Burano, allargando le braccia, per dire che bisognava almeno formalmente obbedire, anche se non si capiva il perché di una norma. E così si rispondevano, quando qualche sapientone suggeriva che bisognava cambiare le leggi, e fare così e così: “Ti vol saverghene una più dea Serenissima Repubbrica??”.

El ghe ne sa una più dea Repubbrica

E ci sarà stato di certo, a Burano, qualche dritto, qualche furbo, che industriandosi riusciva a dribblare le norme, o qualche giovane intelligente e vispo che aveva sempre una risposta per tutto, che trovava sempre il modo di cavarsela, o che era riuscito a far fortuna: “El ghe ne sa una più dea Serenissima Repubbrica“.

Bussolà buranei (dal sito isoladiburano.it)

Cara Buran, dove che me pare zé sta par tanti ani zudese de pase, zudese conciliator se diseva, e el gaveva sempre tanto da lavorar parché se sa, i buranei zé tacabrighe pezo dei ciosoti. Sinquemila anime sinquemila cause, rideva me pare. E dopo, i vigniva col pesse, vestii puito, par dirghe grassie avocà, e coi bussolai par mi. Che i buranei, in buraneo, diseva bussolà.

 

 

 

 

 

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