Troppi lupi, troppi branchi di lupi in giro, troppo “confidenti”, troppo padroni dei paesi della montagna veneta. Tanto che i tre sindaci dell’Alpago – Sara Bona di Tambre, Gianluca Dal Borgo di Chies e Alberto Peterle di Alpago – invitano la popolazione a non allontanarsi, a stare in casa, soprattutto la sera e soprattutto a non uscire con cani.
Lockdown causa lupi
Di fatto, anche se non formalizzato da ordinanze, l’appello dei tre sindaci dell’Alpago è un ritorno al lockdown di triste memoria, e per interi paesi. Un lockdown non causa virus ma causa lupi.
Nella conca dell’Alpago-Cansiglio, vengono ormai avvistati branchi anche di otto lupi a cinquanta metri dalle case dei paesi. E sono ormai centinaia e centinaia ogni anno le predazioni negli allevamenti della pregiata pecora pagota, anche in stalle nei paesi, o gli asini massacrati dai predatori. Non bastano i cani maremmani, non bastano i recinti elettrificati consigliati dalla Regione Veneto.
Quelle difese vanno bene se il predatore è uno solo e l’attacco è occasionale. Contro un branco di sette-otto lupi, determinato a entrare nel recinto, non c’è nulla da fare. Non si può nemmeno pretendere di riempire di Muri di Berlino le nostre campagne, né riempirle di cani monumentali, potenzialmente pericolosi anch’essi per le persone.
Dolada, la decisione di Riccardo De Pra
Ha destato sensazione la recente decisione di Riccardo De Pra, del superstellato ristorante Dolada in Plois d’Alpago, di chiudere l’allevamento di pecore pagote, dopo l’ennesimo assalto dei lupi (CLICCA QUI per leggere la notizia sula pagina Fb del Gambero Rosso).
Al celebre ristorante fondato dal padre di Riccardo, il mitico Enzo De Pra, maestro dei grandi chef veneti, da sempre attentissimo a valorizzare le tradizioni locali, d’ora in poi si servirà agnello di una pregiata razza francese, importato. L’agnello nostrano tradizionale, a chilometri zero, è stato cancellato dai lupi, nel colpevole silenzio delle istituzioni italiane.
IL GRIDO DISPERATO Riccardo De Pra su Facebook: “Le mie pecore sterminate dai lupi, chiudo l’allevamento”
Sindaci di montagna che gridano nel deserto
E solo delle istituzioni italiane, perché sindaci della montagna veneta e consiglieri regionali veneti alzano la voce da anni ormai contro il dilagare dei lupi. Le loro voci gridano nel deserto del centralismo italiano, dove bisogna chiedere a Roma, al Parlamento italiano, a istituzioni lontanissime (in tutti i sensi) dai territori, il permesso di respirare: di abbattere esemplari pericolosi di una specie protetta, di tutelare le persone, gli animali domestici, le attività produttive, la libertà di muoversi.
Ora basta, questa è legittima difesa
È tempo di dire basta. La vera specie in via di estinzione, nella montagna veneta, è l’uomo che la abita stabilmente. Le leggi che per tutelare il lupo mettono a rischio la vita delle persone devono essere disapplicate nei territori dove i lupi sono troppi. I territori hanno il diritto di autogovernarsi, il rispetto di norme nazionali a tutela di specie protette non può prevalere sul diritto delle persone a difendere la propria vita.
Leggi o non leggi a tutela del lupo, questa ormai è legittima difesa: la montagna veneta ha il sacrosanto diritto di difendersi, e non sparando pallini di gomma.
Il problema è l’autonomia negata
Il problema è sempre lo stesso: l’autonomia negata, il diritto negato ai territori di autogovernarsi. Quando qualche uomo, donna o bambino – e accadrà presto, com’è accaduto con l’orso – sarà assalito dai lupi, sappia che la colpa non è dei lupi, che fanno il loro mestiere di predatori, ma dell’autonomia negata ai territori. Della pretesa italiana, assurda e antistorica in uno dei Paesi più plurali del mondo, di imporre norme uguali per tutti, valide dalle Alpi a Lampedusa, dalle grandi città ai piccoli paesi, senza tener conto delle diversità di popoli e territori.
I libri di fiabe coi lupi vegetariani
I sindaci che sperano in modifiche legislative che difendano dai lupi i paesi di montagna si illudono: il Parlamento nazionale è eletto nella sua stragrande maggioranza da città di grandi e medie dimensioni, da cittadini di pianura che dei lupi hanno letto solo nei libri di fiabe.
Peggio ancora se nei libri di fiabe moderni che vanno per la maggiore negli asili e nelle scuole di oggi, dove i lupi sono buoni, sorridenti e vegetariani. Deputati e senatori sono immensamente più sensibili ai vantaggi di questa fasulla immagine ecologista che all’esigenza di togliere o limitare la protezione ad una specie protetta per tutelare una sparuta minoranza di popolazione che non li vota.
Lupi, le norme sono italiane
Prima cosa da sapere: non è vero che a vietare l’abbattimento dei lupi sia l’Europa brutta e cattiva. Le norme europee consentono agli Stati e agli Enti locali ai quali gli Stati delegano la gestione dei territori di abbattere esemplari anche di specie protette quando questi possano costituire danno o pericolo. A proibire di sparare ai lupi “sempre e in ogni caso”, sono norme italiane, approvate dal Parlamento italiano.
Gli esperti e la convivenza
Seconda cosa da sapere: quando i famosi “esperti” vengono nei paesi di montagna a spiegare che non c’è reale pericolo, che i lupi non attaccano l’uomo, eccetera eccetera, ebbene non ce la raccontano giusta. Il problema c’è, ed è reale, non sta nella “percezione” della gente che andrebbe “educata alla convivenza“.
I lupi non attaccano l’uomo? Non è vero!
I lupi non attaccano l’uomo? Non è vero! Andatelo a dire ad Andrea Bonetti, un coltivatore che il 18 settembre 2020 (2020, non secoli fa…), alle ore 8 e 15 minuti del mattino, sui Colli Piacentini in località San Michele di Fiorenzuola, è stato aggredito da un lupo a due passi dal suo casale, mentre stava cambiando la gomma al trattore. I lupi erano due, ma uno solo ha attaccato. Ed è stato sufficiente un solo lupo per mettere a terra un uomo forte e robusto.
L’uomo è stato trascinato per mezzo metro dal lupo, a terra, ferito e sanguinante, i vestiti strappati, le braccia graffiate. Si è salvato (CLICCA QUI per leggere l’intervista rilasciata il giorno dopo a una testata piacentina) solo perché l’animale, azzannandogli il piede, gli ha strappato il pesante scarpone di cuoio, e si è allontanato soddisfatto di quella preda.
La turista sbranata dai lupi in Grecia
Ma è andata peggio, tre anni prima, nel settembre 2017, ad una turista britannica in vacanza in Grecia. Il suo nome era Celia Hollingworth, pensionata, già dipendente dell’università di Bristol. Si trovava in ferie a Maroneia, nel nord della Grecia, ed era andata a visitare un sito archeologico poco distante dall’abitato.
Stava facendo ritorno a piedi al suo hotel, camminando sulla spiaggia, quando è stata aggredita e sbranata da un branco di lupi, come accertato in seguito dalle autorità greche, dopo accurate indagini sui resti delle ossa della poveretta, indagini che hanno escluso si trattasse di cani randagi.
Due episodi di attacco dei lupi all’uomo si sono verificati in Polonia, a Bieszczady, un paese di montagna al confine con la Slovacchia. Era il 26 giugno 2018. Un lupo maschio, poi abbattuto da un cacciatore, ha assalito una bambina di otto anni e il fratellino di dieci. I bambini, sanguinanti, sono stati strappati al predatore. Il lupo, sottoposto ad autopsia, è risultato sano, non affetto da rabbia.
Il menu dei lupi e l’uomo ferito
La semplice verità è sotto gli occhi di chiunque voglia vederla: gli umani non sono nel menu tradizionale dei lupi, come gli struzzi e i granchi blu non sono nel nostro. Ma siamo, in tutta evidenza, un genere commestibile, che in caso di bisogno può ben essere portato in tavola e può, nel tempo, diventare tradizionale, com’è stato per noi con i pomodori e le patate. E com’è stato nel Medioevo, quando il lupo predava abitualmente bambini o persone deboli o sole in zone rurali, com’è attestato da numerose fonti in tutta Europa. Insomma, nel menu del lupo si fa presto a tornarci.
Chi ci insegna la “convivenza” con i lupi dovrebbe spiegarci cosa succederebbe se qualcuno, camminando lungo un sentiero o una stradina poco frequentata, anche se a pochi passi dalle case, dovesse cadere, farsi male, fratturarsi una gamba o semplicemente procurarsi una “storta”. Se dovesse ferirsi, non riuscire a rialzarsi. Il branco di lupi padrone di quel territorio non percepirà la sua debolezza, non sceglierà quella facile preda solo perché è di razza umana, solo perché è fuori menu?
La paura di uscire è già violenza
Il pericolo c’è, ed è grave, imminente, come avvertono i sindaci dell’Alpago. Ma la limitazione della libertà, il non poter uscire di casa la sera, è già grave di per sè. La paura, il timore, è già una violenza. E’ già un danno che la gente di montagna patisce ingiustamente, è un diritto umano negato.
Violare apertamente leggi illegittime
Il problema non si risolve con gli esperti di fauna selvatica, con le grandi muraglie elettrificate nei campi, e nemmeno con la barzelletta dei proiettili di gomma. Servono proiettili veri, che regolino la sovrappopolazione di lupi.
Servono politici che si prendano la responsabilità anche di violare apertamente leggi che sono costituzionalmente illegittime quando mettono in tutta evidenza a rischio la vita delle persone. Come l’orso, come la lince, anche la presenza del lupo non è in dicussione, è un valore del territorio, un sano regolatore naturale della popolazione di erbivori selvatici.
Ma il numero dei lupi presenti deve essere compatibile con il territorio. Invece di venire a farci le prediche, l’unica cosa che vogliamo sapere dagli esperti di fauna selvatica è questa: quanti lupi può sostenere un dato territorio nei suoi spazi selvatici? Quanti lupi sono invece presenti? Questo, ci dicano gli esperti. Ma poi, ai lupi di troppo, ci devono pensare i fucili.
La Svizzera elimina 12 interi branchi
Anche in Svizzera il lupo è una specie protetta. Ma la Svizzera è un Paese federale, in cui l’autonomia dei territori è rispettata da sempre. Ebbene in Svizzera, ogni anno, i Cantoni nei quali la popolazione di lupi è in eccesso, o promette di esserlo con le prossime figliolanze, possono uccidere i lupi di troppo. Questo inverno 2023, per esempio, gli abbattimenti riguarderanno ben 12 interi branchi, che saranno eliminati completamente, compresi i cuccioli. Mentre un altro branco sarà dimezzato. Questo è quanto avviene tranquillamente nella civile Svizzera, dove l’autogoverno dei territori è un diritto.
Il caso delle marmotte
Anche la marmotta è una specie protetta, con legge del Parlamento italiano valida dall’Alpi a Lampedusa. Ma a Lampedusa, a Roma o a Milano, non ci sono marmotte. Mentre nel Sudtirolo le marmotte ci sono, e sono troppe.
Così, negli anni Novanta, la Provincia autonoma di Bolzano aprì per un periodo calcolato la caccia alle marmotte, per ridurne un po’ la popolazione. Il governo impugnò quella legge, ma la Corte costituzionale diede ragione a Bolzano. Perché nel Sudtirolo è la Provincia autonoma, e non lo Stato, a decidere. Non si capisce perché in Veneto non debba essere altrettanto.
Specie protetta ma cresce a dismisura
Una specie protetta, è protetta perché a rischio di estinzione. Ma se in una determinata regione del Paese, un territorio ampio e montuoso, quella specie non è affatto in pericolo, anzi è endemica e la popolazione selvatica cresce a dismisura, fino a costringere gli animali a cercare il cibo nei paesi, perché le istituzioni di quel territorio non possono regolare la sovrappopolazione?
Norme da disapplicare, diritti umani da tutelare
Le norme – italiane, non europee – che vietano sempre e comunque l’abbattimento del lupo, devono essere disapplicate nei territori dove gli esemplari sono troppi e vi è pericolo per le persone e limiti ingiusti e discriminanti per la loro mobilità e per le attività economiche.
La Magistratura, che disapplica spesso e volentieri norme e decreti quando ritiene violati diritti umani più importanti, come avviene nel caso del trattamento dei migranti, dovrebbe fare la stessa cosa quando ad essere violati sono i diritti di cittadini italiani che non possono più uscir di casa la sera perché il lupo è protetto e l’abitante della montagna no.