12 Dicembre 2024
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Ilaria Salis al processo in catene, l’Italia insorge: ma se non sei di sinistra, si può fare

Ilaria Salis, milanese, è un’insegnante di 39 anni, storica attivista di un centro sociale di estrema sinistra. Da un anno è in carcere a Budapest, in attesa del processo. Alla prima udienza, pochi giorni fa, è stata portata in aula incatenata mani e piedi. E l’Italia insorge.

Ilaria è accusata di aver partecipato attivamente, un anno fa, al brutale pestaggio di due militanti di destra a Budapest. Lei si dichiara innocente, e non c’è motivo di non crederle, anche perché il procedimento giudiziario a suo carico, sotto il profilo dei diritti della difesa, sembra fare acqua da tutte le parti.

Antifascisti alla battaglia di Budapest

Ma Ilaria Salis non si trovava a Budapest come turista. La maestra è una storica militante di un centro sociale di sinistra, il Boccaccio, di Monza. Ed era andata in Ungheria, come fanno ogni anno migliaia di gruppi sedicenti “antifascisti“,  proprio per dare battaglia ai “neo nazifascisti” che ogni anno, di questi giorni di febbraio, con il beneplacito delle autorità ungheresi, si radunano a Budapest per celebrare l’ultima strenua resistenza all’Armata Rossa di un battaglione nazista, nel 1945.

Ogni anno, al raduno in onore dei Caduti nazisti, a Budapest è battaglia tra estremisti di destra e di sinistra, giunti da tutta Europa. E Ilaria Salis era tra questi ultimi: secondo la Procura ungherese, avebbe partecipato a varie aggressioni. Quando fu arrestata dalla polizia ungherese, era in un taxi insieme ad altri due militanti, e c’era pure un manganello retrattile.

Reati da corteo

Non è la prima volta che Ilaria si trova coinvolta in fatti di protesta violenta. Nel 2017 fu processata insieme ad altri tre attivisti per l’assalto a un gazebo della Lega a Monza. Fu assolta per non aver commesso il fatto: la verità processuale è che né lei ne gli altri tre indagati con lei, avevano preso parte all’assalto al gazebo, che era stato tuttavia commesso da altri “compagni” che sfilavano nello stesso corteo.

Nel 2022, invece, la maestra Ilaria Salis è stata condannata per resistenza a pubblico ufficiale: durante un altro corteo, gridava cori offensivi e lanciava immondizia contro la polizia. Non reati gravi, per carità: ma un’educatrice, forse, dovrebbe essere tenuta a non dare certi esempi in pubblico. Perché poi, se i ragazzi adottano comportamenti simili, non possiamo lamentarci…

Violazione di diritti umani

Comunque sia, l’umiliazione inflitta dalla Giustizia ungherese all’imputata, portata in aula incatenata mani e piedi, ha sollevato sacrosanta indignazione. La premier Giorgia Meloni ha telefonato al premier ungherese Viktor Orbàn, il Parlamento italiano ha dedicato al caso un’intera giornata di aspro dibattito,  da sinistra e anche da destra si sono levate voci autorevolissime, che hanno denunciato la violazione di diritti umani, il passo indietro rispetto a “millenni di civiltà europea”.

Altri militanti di sinistra, di vari Paesi europei, arrestati un anno fa in Ungheria con le stesse accuse e per gli stessi fatti di Ilaria Salis, hanno scelto di patteggiare, ammettere le loro colpe. E sono da tempo a casa loro. Ilaria Salis non ha firmato il patteggiamento,  si proclama innocente ed è ancora in carcere in attesa di processo: è dunque difficile che non venga il sospetto di un utilizzo del carcere preventivo come mezzo di pressione per estorcere confessioni e ammissioni agli imputati.

Carcerazione preventiva: e Tangentopoli?

L’Italia, tuttavia, sembra il Paese meno adatto per levare vibrate proteste contro simili metodi. L’uso e l’abuso della carcerazione preventiva per convincere gli imputati a parlare, ad ammettere i fatti di cui li si accusava e a chiamare in causa altri complici, non sembra davvero essere stato estraneo a molte inchieste di Tangentopoli.

Quel processo contro indipendentisti veneti

E per quanto riguarda le catene, è sicuramente una vergogna per l’Ungheria aver portato un’imputata al processo in simili umilianti condizioni. Ma anche su questo aspetto, l’Italia avrebbe motivi per tacere. Non solo per gli arresti-spettacolo dell’era Tangentopoli, che pure sono storia fresca, ma perché nel 2017, nella civilissima Brescia, si celebrò il processo contro 47  indipendentisti, patrioti veneti accusati di sovversione perché stavano preparando gli strumenti – un nuovo Tanko realizzato sulla base di una ruspa – per fare il bis dell’impresa dei Serenissimi, a Venezia.

L’indipendentista ammanettato in barella

Tra i 47 imputati c’era anche un vecchio, malato e profondamente debilitato, tanto che pochissimi mesi dopo sarebbe morto in carcere. Era uno storico indipendentista sardo che si chiamava Doddore Meloni.

Doddore Meloni presenziò alle udienze del processo di Brescia in barella, perché non si reggeva in piedi. E fu condotto ad assistere alle udienze, con i ferri ai polsi. Ammanettato in barella!

Doddore Meloni ammanettato in barella al processo di Brescia (foto di Tiziano Lanza)

Se non è di sinistra, si può fare

Per lui non abbiamo sentito le stesse proteste che udiamo oggi per Ilaria. I giornali non gli dedicarono una riga. I parlamentari non produssero indignate interrogazioni al governo. Il vecchio, debole, inoffensivo indipendentista in manette, per l’Italia andava bene. Se l’umiliazione, il trattamento inumano, vengono inflitti a militanti di estrema sinistra, anche se accusati di fatti di sangue, ecco che l’Italia insorge come un sol uomo. Se l’imputato non è di sinistra, invece, si può fare. E forse è anche un po’ per questo che, in Europa, l’Italia non ha molta credibilità. Perché i diritti, o valgono per tutti, o si affermano per tutti, o sono soltanto privilegi di qualcuno.

(per chi volesse approfondire la vicenda di Doddore Meloni, QUI il link a un articolo di Serenissima News)

 

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