12 Dicembre 2024
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Il razzismo antiveneto: Carosello, l’Olio Sasso e la serva nera che parlava veneto

Veneto, fine anni Settanta, nel seguitissimo spazio pubblicitario chiamato “Carosello” (ve lo ricordate, tutti a nanna dopo Carosello?) una delle pubblicità più martellanti è quella dell’Olio Sasso.

Donna, nera e veneta: i luoghi comuni della servitù

Ecco come la descrive il giovane Federico Bozzini sulle pagine di “Ombre bianche”, una rivista di area CISL nata nel 1979 e chiusa nel 1981 dopo l’uscita del quinto numero  perché fondamentalmente  “incontrollabile” dal vertice CISL  (“Ve la diamo noi la linea” era il nome della cooperativa editrice… e con un nome così dove pensavano di andare in quei tempi?); siamo nell’aprile del 1979, il primo numero del primo anno:

“Prendiamo atto fino in fondo del carattere abbietto di questo tipo di manipolazione. La pubblicità televisiva è riuscita a costruire l’immagine più perfetta della servitù quando, a propagandare l’Olio Sasso, ha piazzato una donna di servizio negra che parla veneto.

Il video integrale

In questo caso non ci troviamo di fronte ad un personaggio, ma ad un concetto sublimato, alla concentrazione delle tre astrazioni che costituiscono i luoghi comuni nei quali l’italiano vede la servitù. La nostra lingua è divenuta lo stereotipo del linguaggio dello schiavo.

GUARDA IL VIDEO INTEGRALE DELLA PUBBLICITA’ OLIO SASSO NEL 1965:

Dobbiamo fare una prima ammissione. E’ vero che siamo stati educati a rispondere “comandi”. E’ sufficiente una corta memoria per sentircelo ancora risuonare nelle orecchie.

E’ poi altrettanto vero che, da qualche tempo, abbiamo smesso di usare questa espressione reverenziale. Non è però il caso di prenderne atto con sollievo, ma è bene porci come problema questo mutamento di comportamento.

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Tento di spiegarmi, formulando un’ipotesi.

In primo luogo, possiamo ben ridere dello stravolgimento che la subcultura italiana ha fatto di noi stessi, ma è difficile negarne il carattere violento e repressivo. L’efficacia educatrice di questa maschera che gli italiani han costruito stilizzando e ridicolizzando i nostri tratti nazionali è indubbia.

Quando abbiamo deciso di levarcela di dosso abbiamo reagito esattamente come gli inventori di questa maschera-trucco-didattico si aspettavano. Non ci siamo semplicemente liberati di una caricatura superficiale, ma abbiamo definitivamente rinunciato alla nostra personalità più profonda.

Costretti a farci italiani, rinunciando a essere veneti

Quando abbiamo smesso di rispondere “comandi”, abbiamo finito di essere veneti per assumere il comportamento disincarnato di quell’astrazione televisiva che è l’italiano medio.

Solo a questo punto si è realizzato per nostra ragione il desiderio-programma di Cavour: solo per reagire alla violentissima pubblicità dell’Olio Sasso siamo stati costretti a farci italiani. Il Carosello è stato il primo messaggio culturale dello Stato che è giunto efficacemente nelle nostre case. La sua efficacia è stata tale da farci mutare comportamento. Solo che per costruire questo flash pubblicitario è stata necessaria la lunga stretta collaborazione di un grosso apparato culturale, con capacità interdisciplinare.

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La precondizione di questa negra veneta sono le analisi politiche liberalcomuniste ed i lavori storiografici di De Rosa e Lanaro.”

Le rivolte anti-italiane dopo l’occupazione piemontese

Sempre su “Ombre bianche” Bozzini pubblica “Le rivolte anti-italiane nel veronese dopo l’unità (1867)”; nella premessa ci sono alcuni passaggi straordinariamente efficaci:

“In buona sostanza, secondo la storia ufficiale, nell’ottobre 1866 i contadini veneti con occhio ebete videro partire i padroni austriaci e videro arrivare quelli piemontesi. Si tolsero deferenti il cappello e continuarono a lavorare e digiunare come sempre. Non successe nulla. Nelle pagine che seguono ho cercato di raccontare quello che, secondo gli archivi e la stampa, risulta essere accaduto nel corso del primo anno di occupazione piemontese. Come vedete, se avrete la pazienza di leggere, sembra che qualcosa sia successo”; va sottolineato come l’autore parli di “rivolte anti-italiane” e di “occupazione piemontese”: siamo nel 1980, è bene ricordarlo, grazie Federico Bozzini per aver sdoganato certi concetti….

Veneto in condizione di sudditanza

E sempre nella premessa:

“Per questo è importante raccontare la Little Big Horn e le Wounded Knee del popolo veneto. Dobbiamo rifare il percorso per capire come, quando e chi ci ha spezzato la schiena e le ginocchia. Se si perde la memoria delle battaglie nelle quali siamo stati battuti, la nostra condizione di sudditanza odierna non sta più nella forza militare dell’avversario, ma dentro di noi. E non c’è posto migliore per conservare la debolezza del vinto che piazzarla dentro la sua testa, il suo cuore, il suo carattere.”

E ancora

“Nell’ottobre del 1866 le truppe italiane entrano in Verona….In poco tempo le masse rurali si rendono conto d’aver semplicemente cambiato padrone, e d’aver cambiato in peggio.”

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Proprio così…nel 1866 il Veneto ha semplicemente cambiato padrone, prima gli Asburgo e poi i Savoja…peggio di così…provate voi a spiegarlo a quelli che nel 2011 hanno sperperato milioni e milioni di euro per festeggiare l’unità d’Italia…

Ecco chi era il grande Federico Bozzini

Ma chi era Federico Bozzini ?

Ecco come ne scrivo sul mio “Questione veneta. Protagonisti, documenti e testimonianze” uscito nel 2015:

Il popolo veneto si trova in un momento di notevole decadenza identitaria;  solo così si può giustificare il fatto che figure come quella di Federico Bozzini siano sconosciute ai più e non vengano adeguatamente valorizzate.

Federico Bozzini nasce a Verona nel dicembre del 1943; è ancora un bocia quando incomincia a lavorare come garzone alla Tiberghien, azienda tessile veronese: ha appena finito le elementari; ma nel Veneto del primo dopoguerra è la regola. Studente-lavoratore finisce le scuole medie e nel 1966, sempre da studente-lavoratore, consegue la maturità classica.

Nel 1970 si laurea in filosofia all’Università di Padova con una tesi su “La critica della religione in Karl Marx”; subito dopo inizia la collaborazione con la Fim Cisl come formatore; la collaborazione con la Fim che nel frattempo era confluita nella Flm  cessa nel 1975.

Il giudizio di Vittorio Foa

Nel 1979 lo troviamo tra i fondatori e redattori della rivista “Ombre bianche”; nel frattempo stampa con le Edizioni Dedalo, “Il furto campestre”:  ecco le prime righe dell’introduzione di Vittorio Foa:

“Autore di questo saggio è un giovane insegnante veronese. Il mattino Federico Bozzini insegna, il pomeriggio lavora per il sindacato metalmeccanico (-come potrei studiare la storia se non avessi un continuo contatto con la gente?). Bozzini non è uno storico professionale e forse  non lo diventerà mai.”

Per fortuna Federico Bozzini non è diventato uno storico professionale, è sempre rimasto un “uomo libero” che ha avuto il coraggio di smascherare certi “storici” (sia di destra sia di sinistra) che non riuscivano ad andare a fondo nel ricostruire la storia del nostro Veneto, della nostra gente.

Bozzini, i libri fondamentali per capire il Veneto

Ecco un passo di “Veneto è bello” pubblicato sul primo numero di “Ombre bianche” dell’aprile del 1979 (e sottolineo millenovecentosettantanove…):

“Il vero problema è di decidere se è realmente pensabile quell’enorme bizzarria storica che consiste nel ritener probabile che un’intera popolazione abbia patito e sofferto i livelli di oppressione e di miseria che fanno parte del nostro patrimonio nazionale senza ribellarsi. E’ veramente concepibile che tutto un popolo sia stato ridotto all’inedia ed alla servitù senza che abbia mai tentato di resistere?

Veneti, la vocazione della servitù?

L’ipotesi  razzista, tanto che la si collochi nella “natura”, tanto che la si cerchi nella “struttura”, quanto che la si individui nella “sovrastruttura”  è l’unica che può fondare una simile affermazione. I veneti sono stati ridotti alla servitù perché, da qualche parte, ne avevano la vocazione”.

Federico Bozzini muore, ancora giovane, il 2 maggio 1999 e a tanti anni di distanza il vuoto che ha lasciato è grande e le sue analisi, le sue provocazioni attualissime.

L’ultima opera: i dialoghi sull’impresa dei Serenissimi

Diverse opere sono state ristampate, altre ricerche continuano ad essere una fonte preziosa per gli studiosi, per gli appassionati di storia e di costume del Veneto, come la già citata “Ombre bianche”, una rivista di area CISL nata nel 1979,  e dove pubblica oltre a “Veneto è bello” , “Le rivolte anti-italiane nel veronese dopo l’unità -1867-“ .

Tra i volumi da ricordare “Il furto campestre”  (Edizioni Dedalo 1977 e recentemente ristampato), “L’arciprete e il cavaliere” imperdibile ricostruzione della vita di un paese della bassa veronese a cavallo del 1866 (1985, Edizioni del Lavoro, recentemente ristampato grazie alla sensibilità dell’amico Ferruccio Mazzariol e della sua casa editrice “Santi Quaranta”), “L’imperatore e lo speziale: le vicende sanitarie di un comune veronese nella prima metà dell’ottocento: Erbè (1817-1847)”, “Cipolle e Libertà. Ricordi e pensieri di Gelmino Ottaviani operaio metalmeccanico alla soglia della pensione” e “Tre dialoghi attorno al campanile di San Marco: Vittorio Foa e i veneti” con una serie di riflessioni attorno all’azione  del campanile di San Marco da parte dei Serenissimi.

 

Ettore Beggiato

 

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