“Lì 27 detto (marzo 1797) fu convocato il general consiglio in Val Sabbia dove entrato tutto il popolo armato mano furono prese varie parti, tutte controrivoluzionarie e dimostranti un vivo attaccamento e una fedeltà impareggiabile verso gli antichi Padroni Veneti; il che inteso dalla Riviera si determinò subito ad unirsi alla Fedelissima Valsabbia, come pure anche diverse altre Quadre del Territorio.
Lì ventinove detto mese (marzo 1797). Si alzarono tanti soldati per Comunità al tocco di campana generale che seguì ad un’ora di notte, a che mise tutta la Valle in un forte scompiglio temendo l’invasione de’ cittadini (era una notte oscurissima, e molto piovosa).
Lì trenta detto pure 1797. Partirono i valeriani al numero di millecinquecento circa seguiti da molti Signori Valeriani ed andarono uniti ai Salodiani”.
Così scriveva nelle sue memorie un anonimo valligiano di Mura, raccontando i fatti che coinvolsero i paesi della Valle Sabbia e della Riviera alla fine del Settecento.
La rivolta della Val Sabbia contro i francesi
I motivi che spinsero il popolo valsabbino alla rivolta rientrano nei tragici eventi che caratterizzarono il 1797, anno in cui si giunse al crollo del governo veneto e all’avvento del dominio francese di Bonaparte.
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I giacobini bresciani con l’appoggio dei francesi avevano cacciato da Brescia il rappresentante della Repubblica Veneta e avevano dato vita al governo provvisorio bresciano. Rappresentanti del nuovo governo vennero inviati in Valle Sabbia per sollevare i comuni della valle contro Venezia, ma non ottennero l’esito sperato.
L’arrivo dell’esercito francese nel bresciano era stato accolto con ostilità in quanto i francesi avevano la reputazione di regicidi, distruttori di chiese, avversi alla religione, fomentatori di ogni disordine.
L’autonomia concessa dalla Serenissima
La gente della valle inoltre era refrattaria a tutte quelle novità che potessero disturbare il quieto andamento delle consuetudini che rientravano in quell’autonomia, sia pur parziale, che la Serenissima aveva concesso.
I rettori veneti nel corso della seconda metà del Settecento avevano cercato di varare delle riforme, tese a stabilire equi rapporti economici e sociali fra antichi e nuovi originari.
Queste riforme proposte dal Capitano e vice podestà Francesco Grimani non erano ben accette dai valligiani che giunsero a far pressione sul patrizio veneziano Pietro Vettor Pisani, successore del Grimani, al fine di mantenere immutati privilegi e Statuti.
La Valle Sabbia, confinante con il Tirolo e l’Impero Asburgico, aveva sempre goduto di importanti vantaggi da parte di Venezia, che riconoscendo l’importanza della posizione strategica del territorio, aveva elargito importanti concessioni tra cui il libero commercio di “ferrarezze” e una tassazione non particolarmente pesante.
Se la Valle Sabbia si era opposta a una linea riformista così blanda da parte del governo veneto, si può capire perché i valligiani fossero contrari alle idee rivoluzionarie che i francesi stavano diffondendo nei territori conquistati.
Contro i Visconti Brescia e le Valli scelgono Venezia
La mentalità contadina, era fortemente conservatrice e legata al governo illuminato della Serenissima con la quale aveva intrattenuto ottimi rapporti e grazie alla quale aveva sperimentato nei secoli un vero e proprio rinascimento di arte e cultura.
Questo sentimento di fedeltà nei confronti del governo veneto risale alle lotte di Brescia e delle valli contro la politica accentratrice e rapace del governo visconteo, estraneo sia alla mentalità che alle esigenze economiche bresciane alle quali rispondeva con esose tassazioni.
Il decentramento veneziano e la moderazione fiscale
Al momento del suo avvento, Venezia adottò invece una politica più saggia, mantenendo per sé le decisioni importanti e concedendo il decentramento amministrativo che favoriva maggiormente le esigenze locali, oltre all’esonero dei dazi sul trasporto delle “ferrarezze”, caposaldo dell’economia valsabbina.
Nel 1463 la Valle Sabbia diventò “terra separata” distaccandosi dal resto del territorio. La completa autonomia, soprattutto mercantile, venne concessa nel 1597.
La Casa del Consiglio di Valle, edificata a Nozza nel 1585, successivamente alla vittoria di Lepanto, diventò il simbolo della collaborazione tra il governo veneto e la Valle; vi si decideva di problemi civili e penali, per le questioni più rilevanti ci si rivolgeva direttamente a Brescia e Venezia. Bagolino, Anfo e i comuni delle Pertiche si dotavano di Statuti propri che sancivano le regole del vivere quotidiano.
Anche se il Seicento fu un secolo più critico per l’economia della Valle, che risentiva dell’eco della situazione generale in cui versava la politica europea, venne mantenuta intatta la comunanza di intenti con il governo centrale.
Famiglie venete si erano stabilite in valle e l’interscambio artistico e culturale con la madrepatria ne veniva notevolmente influenzato.
Arte e cultura mostrano esempi di rilievo; maestranze locali tenevano rapporti con Venezia nell’opera di arricchimento artistico delle chiese, l’abbigliamento, l’arredamento delle case più signorili, addirittura la cucina risentiva dell’influsso veneziano.
Fedeli alla Veneta Repubblica anche nei tempi duri
Nel Settecento le condizioni economiche erano diventate più difficili e le suppliche al Doge più pressanti, tuttavia la Valle Sabbia professava la sua fedeltà incrollabile nei confronti di un potere sì in decadenza, ma che dava ancora segni di efficienza come nel caso degli interventi in occasione dell’incendio di Bagolino.
Sulla scena politica europea, Venezia perse il ruolo di protagonista nel mare Adriatico quando non riuscì più a controllare l’avanzata dei Turchi. Nonostante la vittoria di Lepanto del 1571, era stata costretta a firmare un trattato di pace con gli Ottomani, ai quali cedendo Cipro e successivamente Candia. La crisi progressiva, militare e finanziaria, spingeva la Repubblica ad adottare la neutralità politica nei confronti delle potenze europee di Austria e Spagna.
A questa condizione si accompagnò l’immobilismo del patriziato veneziano, costretto a rivolgere i propri interessi fondiari verso la Terraferma. Tuttavia la grande città manteneva ancora il ricordo del suo passato splendore e pur nell’inarrestabile decadenza riuscì a garantire l’ultimo periodo di pace del suo governo fino all’arrivo di Napoleone.
L’invasione francese, le prime distruzioni
La Campagna d’Italia fece sì che la Valle Sabbia diventasse teatro dei movimenti di truppe austriache che dal Tirolo scendevano verso la pianura per aggirare l’esercito francese, che aveva cinto d’assedio Mantova e Brescia.
Dopo la vittoria francese di Lonato, le truppe austriache sconfitte si ritirarono disordinatamente, risalendo nuovamente la Valle Sabbia che subì violenze e ruberie da parte dei soldati infuriati per la sconfitta. I francesi, dopo la vittoria di Castiglione, inseguendo gli austriaci in fuga, distrussero la roccaforte veneta di Anfo per poi ritirarsi nuovamente in pianura.
Venezia, che si era dichiarata neutrale, aveva manifestato inutilmente le sue lamentele per le continue incursioni nel suo territorio da parte di Francia e Austria, le cui truppe saccheggiavano, si rifornivano e non pagavano.
L’occupazione di Brescia e Bergamo
In questa confusione il governo veneto di Brescia ormai aveva perso credibilità e il presidio di un centinaio di soldati non era certo in grado di opporsi ai francesi assedianti. Una ventina di giacobini bresciani, capitanati dai fratelli Lechi, il 18 marzo 1797 occupò il Broletto e dichiarò la fine del governo veneto sostituendolo con un governo provvisorio. L’intenzione era di formare una repubblica bresciana ispirata a quella francese.
Pochi giorni prima, il 12 marzo, la città di Bergamo era stata occupata dai francesi e, come era successo a Brescia, furono i nobili e non il popolo a decretare la fine del dominio veneto.
Bergamasca in rivolta: migliaia di martiri per Venezia
Le popolazioni delle valli bergamasche organizzarono una rivolta spontanea per ripristinare lo status quo; mossero verso Bergamo non conoscendo adeguatamente la portata dell’esercito francese che, a colpi di artiglieria, eseguì la carneficina di migliaia di valligiani. I sopravvissuti vennero catturati e giustiziati il 30 marzo 1797. I pochi scampati collaborarono successivamente con i rivoltosi delle valli bresciane.
L’eroico Andrea Filippi, prete di Barghe
Intanto i giacobini bresciani, di cui facevano parte esponenti della nobiltà e della borghesia, con l’intento di sollevare le popolazioni delle valli, mandarono due inviati a Barghe: i giacobini Pietro Randini e Uberto Uberti. Costoro cercarono di conquistarsi le simpatie dei valligiani, ma le loro intenzioni furono contrastate da Andrea Filippi, prete di Barghe, il quale incitò i suoi compaesani e la gente dei comuni vicini contro i filofrancesi. Venne convocato per il giorno 27 marzo il Consiglio Generale di Nozza per prendere una decisione comune e adeguata.
Salò e la Riviera si ribellano a Napoleone
Due giorni prima Salò si era ribellata al nuovo governo giacobino di Brescia e ne aveva allontanato i rappresentanti, che avevano istituito una Municipalità, che per la resistenza della popolazione non potè essere realizzata. I motivi di questa ribellione erano gli stessi che emergevano nelle comunità delle valli: il riconoscimento dell’autonomia, la difesa degli interessi economici locali e un comune sentimento antibresciano.
I sindaci Antonio Turrini di Teglie e Paolo Mora di Salò, recatisi a Verona, resero noti al Provveditore Straordinario in Terraferma Francesco Battagia gli avvenimenti, ribadendo sentimenti di fedeltà della Riviera a San Marco. La risposta del Provveditore, che lodava tali sentimenti, costituì un ulteriore incitamento alla rivolta dei salodiani che, con altri insorti della Riviera, restaurarono i simboli della Serenissima.
Intanto i tentativi eversivi dei giacobini bresciani nei comuni della valle non avevano avuto l’esito sperato, anzi, al Consiglio di Nozza del 27 marzo parteciparono oltre ai rappresentanti dei comuni anche seicento uomini armati e si decise di restare fedeli a San Marco e di aiutare Salò che era stata aggredita da un nuovo attacco di mille armati bresciani al comando del generale Fantuzzi in grado di dar man forte al generale Gambara.
L’esercito bresciano, che aveva concesso la tregua richiesta dai salodiani spaventati da un tale spiegamento di forze, si vide però assalito dai valsabbini che lo colpì arrivando da tre direzioni diverse, causando notevoli perdite e facendo numerosi prigionieri oltre a un cospicuo bottino di armi. Gli insorti però non approfittarono della vittoria, credendo che il governo bresciano fosse l’unico antagonista. Quando l’esercito francese arrivò in Salò la sottopose ad un furioso saccheggio e alla distruzione delle insegne identitarie.
Insorge la Val Trompia, i Tirolesi in aiuto
Nel frattempo era insorta anche la Valle Trompia, la cui resistenza maggiore si era attestata nell’alta valle. Alla rivolta avevano partecipato anche gli insorti valsabbini, i quali il 9 aprile a Nave spararono contro parlamentari francesi che risposero violentemente, costringendoli a riparare in Valle Sabbia.
Il Provveditore Straordinario in Verona aveva inviato sia in Valle Trompia che in Valle Sabbia una mezza compagnia di soldati Schiavoni, che avrebbe dovuto anticipare un più numeroso esercito veneto che non arrivò mai. Il Consiglio di Valle unitamente al sindaco mandò due deputati a Venezia per chiedere aiuti che vennero concessi sotto forma di quattromila ducati.
Il prete Filippi l’11 aprile si era diretto con armati valsabbini a sostegno dei ribelli trumplini ma non aveva avuto successo ed era rientrato a Barghe. In Valle Sabbia era arrivata una compagnia di tirolesi a sostegno degli insorti della Valle Trompia, che con l’ulteriore aiuto dei valsabbini scesi da Lodrino, saccheggiarono Gardone che aveva aderito al governo provvisorio bresciano. Nonostante l’aiuto dei valsabbini e delle truppe tirolesi la Valle Trompia venne occupata dai franco-bresciani ai quali il 30 aprile si arrese.
La persecuzione degli sconfitti, “lotta al brigantaggio”
Il governo bresciano cercò di ottenere la deposizione delle armi da parte della Valle Sabbia, il cui Consiglio rispose affermativamente. Di ciò non erano stati però avvisati i valligiani che combattevano sul fronte trumplino e le trattative sfumarono, anzi, inasprirono ulteriormente i francesi nei loro confronti. Il generale Landrieux, considerandoli traditori, minacciò sanguinose ritorsioni, che si concretizzarono con saccheggi e incendi ai quali parteciparono anche i mille soldati bresciani guidati da Giuseppe Lechi.
Per i capi della rivoluzione venne emessa una taglia, alcuni di loro furono costretti a pagare un riscatto che li privò di ogni loro proprietà, per altri vi fu la fucilazione. I latitanti, tra cui il prete Filippi, vennero condannati a morte o al bando perpetuo. Fuggiti in Tirolo, non avendo mezzi di sostentamento, formarono bande di briganti che, scendendo dalla Valvestino, razziavano i paesi della valle.
Truppe francesi e guardia nazionale, assoldati con il compito di contrastare il brigantaggio, aggravarono ulteriormente la situazione economica senza giungere ad alcun risultato. Ad ogni comune i francesi imposero l’albero della libertà, simbolo della rivoluzione, i decantati vantaggi della quale furono sperimentati quando arrivarono pesanti imposte che gravarono sulla popolazione.
Cancellate le storiche autonomie venete
Il governo provvisorio bresciano fece annettere la repubblica giacobina alla Cisalpina e il territorio ne venne riorganizzato, cancellando l’ordinamento precedente. I territori di Brescia e della “Magnifica Patria” del Garda vennero divisi in dipartimenti, ulteriormente ripartiti in distretti e comuni.
Tale suddivisione venne cancellata con l’arrivo degli austro-russi che, nell’aprile del 1799, ripristinarono i vecchi ordinamenti. I francesi, l’anno successivo, impossessatisi di nuovo del territorio resero la Valle Sabbia un cantone del distretto di Salò, togliendole autonomia amministrativa e identità.
Le conseguenze dei moti insurrezionali incisero in modo negativo sulla realtà economica e sociale del territorio. Riguardo alla Valle Sabbia, l’efficiente ripristino delle attività economiche risultò problematico in quanto molti degli uomini esperti, sia maestri che apprendisti, che avevano partecipato alla rivolta, erano stati costretti a rifugiarsi in Tirolo e sul territorio non si riuscì più a sostituire le maestranze emigrate con una classe imprenditoriale esperta.
Il centralismo italiano uccide autonomia ed economia
Le agevolazioni concesse da Venezia erano state il fondamento della stabilità di queste attività, mancando quelle, si arrivò alla crisi. Eliminando gli importanti riferimenti identitari, quali gli Statuti, le vicinie e il Consiglio di Valle, il territorio venne isolato sia dal punto di vista amministrativo che economico e sociale. Le manifatture, non potendo più commerciare liberamente come sotto il governo veneto, vennero confinate in un ambito semplicemente locale.
La mentalità centralistica dei nuovi governi, sia quello austriaco che quello italiano che gli succedette, mortificò, con la cancellazione di autonomie e privilegi le comunità che erano state, sotto San Marco, legate da una forte identità e le ridussero a realtà periferiche.
Anche se il governo austriaco aveva lasciato più spazio agli enti territoriali riguardo a sanità, beneficenza, istruzione, viabilità, le decisioni vennero prese sempre a livello regionale o centrale come nell’esempio della vendita del terreno incolto, bene collettivo, che permetteva alla popolazione più povera di sopravvivere esercitando diritti di pascolo, legnatico, raccolta del pattume.
I rapporti tra le comunità locali e i dominatori austriaci furono segnati da contrasti, che portarono il ceto dirigente valsabbino a rimpiangere i privilegi concessi da Venezia, sotto il cui governo, le comunità della valle erano state in grado di gestire da sole le loro prerogative economiche e sociali.
Giovanni Baronchelli
Bibliografia
– Al Tocco di Campana Generale 1797 -1997. Bicentenario della caduta del governo veneto e insorgenze nelle valli Sabbia e Trompia. Atti del Convegno, Nozza di Vestone – 10 maggio 1997 a cura di Alberto Rizzi.
- Naturalmente Divisi. Storia e autonomia delle antiche comunità alpine. LOntàno Verde –I.S.T.A.
- Valle Sabbia: l’ambiente, le vicende storiche, i segni dell’arte e del lavoro dei venticinque comuni della valle. Comunità Montana di Valle Sabbia.
- Miracoli di Valle Sabbia” Sopraponte 1603: Processo al Miracolo. Comunità Montana di Valle Sabbia.