In Campo dell’Arsenale, a Venezia, davanti alle Torri e alle mura merlate che guardano quella che per secoli è stata la più potente fabbrica di navi da guerra del mondo, è vietato issare sul pilo la bandiera della Serenissima.
Anche per un giorno solo. Anche se quel giorno è il 26 febbraio, ricorrenza della nascita del Doge Francesco Morosini, il Peloponnesiaco, il condottiero che alla fine del Seicento condusse la flotta veneziana in una grandiosa riscossa contro l’Impero Ottomano, tanto che il pilo portabandiera, in Campo dell’Arsenale, è stato eretto proprio in suo onore, nel 1693.
La commemorazione di Francesco Morosini
A raccontare questa vergogna italiana è un’associazione culturale piuttosto attiva, che raduna qualche centinaio di aderenti: “WSM Venexia Capital” è il suo nome. Ebbene, l’Associazione fa le cose in regola: volendo commemorare la data di nascita del doge Francesco Morosini, presenta “una richiesta alle Autorità preposte, per poter issare un gonfalone di San Marco sul pilo del campo dell’Arsenale, il mattino di venerdì 26 febbraio per poi ammainarlo la sera stessa”.
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“Il sopraccitato pilo – ricorda l’Associazione – e’ stato eretto nel 1693 proprio in onore del Morosini a ricordo delle sue valorose imprese militari che diedero lustro alla Serenissima ed ora e’ sovrinteso dal Comune di Venezia”.
L’Italia come Napoleone: il Leone proibito
Qualcuno ci spieghi cosa c’è di male, se un’Associazione culturale intende onorare una delle più grandi figure della Serenissima? Se l’Italia fosse un Paese normale, non ci sarebbe neppure bisogno di chiedere permesso. Si comunica e basta, per cortesia, così le Autorità possono presenziare alla cerimonia. Ma l’Italia, nei territori della Serenissima, è un Paese occupante, e non perde occasione di ricordarlo. Si comporta esattamente come Napoleone: il simbolo del Leone di San Marco è proibito, è sentito dalla Repubblica Italiana come un pericoloso rivale.
La bandiera strappata dal Tanko dei Serenissimi
Torna alla mente il mattino di quel 9 maggio 1997, quando i reparti speciali dei Carabinieri ebbero ragione dei Serenissimi che avevano riconquistato per una notte alla Veneta Repubblica la Piazza e il Campanile di San Marco. Quando la minaccia delle armi convinse gli insorti a uscir fuori dal Tanko, un carabiniere saltò sul mezzo con agile balzo, e strappò il vessillo di San Marco inalberato dal camion.
Un gesto di sprezzo, così fu letto dai molti che, dopo averlo visto in televisione, scrissero al Gazzettino per protestare. Ma non era disprezzo. Era onore. Perché quel gesto non era più il gesto di un’operazione di polizia interna: quel gesto d’impeto di un giovane militare aveva smascherato la verità profonda di quello che era accaduto quella notte, e quella mattina. Era il gesto del vincitore che dopo la battaglia conquista la bandiera del nemico vinto. Quel gesto riconosceva che la bandiera del Leone di San Marco non è la bandiera di una città o di un territorio pacificamente italiano, ma è la bandiera di uno Stato indipendente, contro il quale si era appena vinta una battaglia. Uno Stato annesso, conquistato, che deve rimanere sottomesso.
La motivazione del no a issare la bandiera veneta
Ebbene, alla richiesta dell’Associazione culturale WSM Venexia Capital di poter issare il Gonfalone di San Marco sul pilo in Campo dell’Arsenale, le competenti autorità hanno risposto di no.
E la motivazione, nel suo burocratico splendore, è davvero inattaccabile. “Secondo il Regolamento che disciplina l’esposizione delle bandiere della Repubblica italiana e dell’Unione Europea da parte degli enti pubblici – è stato risposto – è previsto che non si possa esporre il Gonfalone della propria città se non unitamente alla bandiera nazionale ed a quella europea. Nel caso specifico trattandosi di un solo pennone, l’esposizione è riservata esclusivamente alla bandiera nazionale”.
Non è la bandiera di una città ma quella di uno Stato
Piccola annotazione: le “competenti autorità” nel loro burocratico diniego continuano ad alimentare un vecchio equivoco che ormai puzza d’ipocrisia. Sarebbe forse il caso di spiegar loro che è vero che si tratta sempre del Leone di San Marco, ma quella che l’Associazione voleva issare non era “il gonfalone della propria città”. Era la bandiera della Veneta Repubblica. Perché Francesco Morosini non fu un sindaco ma un Doge,il Capo dello Stato Veneto. Quindi quello che in buona sostanza l’Associazione chiedeva alle competenti autorità era di permettere che, in omaggio al grande Doge, per un giorno – un giorno solo! – sul pilo in Campo dell’Arsenale eretto in onore di quel grande, tornasse a garrire la storica bandiera della Serenissima Repubblica. Ed è a questa bandiera, non certo allo stemma di una città, che le competenti autorità hanno detto di no.
La protesta dell’Associazione WSM Venexia Capital
“Onorare la memoria di un importantissimo personaggio veneziano ( quattro volte Capitan General da Mar e successivamente Doge) esponendo la bandiera di San Marco, unica a simboleggiare la Serenissima madre Patria, dovrebbe essere dovere ed orgoglio delle istituzioni locali – protesta l’Associazione WSM Venexia Capital – e non motivo di estenuanti tiramolla burocratici che da anni si ripetono e perseguitano chi vuole tenere in vita le tradizioni. Vincolare a certi regolamenti italoeuropei i nostri simboli identitari, che spesso non riguardano nemmeno la specificità di Venezia, è un grave danno per la nostra e per le future generazioni veneziane, che si troveranno un domani a non sapere nemmeno cosa sia un gonfalone, cosa sia un abate (il cippo marmoreo portabandiera), a chi venivano dedicati e tante altre cose che sono la base della nostra sempre più sconosciuta storia“.
Palazzo Ducale e Archivio di Stato: la bandiera negata
Basta ritornare mesti dall’Arsenale per capire quanto il problema della “proibizione” della bandiera di San Marco sia reale ed operante. Basta fare la Riva dei Schiavoni e passar davanti a Palazzo Ducale.
Palazzo Ducale, per mille anni sede del governo della Serenissima. Eppure oggi la facciata del Palazzo reca due sole bandiere: quella italiana e quella europea. La bandiera della Serenissima, l’unica che avrebbe diritto di sventolare da quel palazzo, non c’è. Una volta ho chiesto il perché. Mi fu risposto che Palazzo Ducale è un museo statale e i musei statali non possono battere altre bandiere.
Ma proseguite la passeggiata, fate il Ponte di Rialto, passate per Campo dei Frari. Lì c’è l’Archivio di Stato. Uno dei più ricchi archivi storici del mondo, che in 70 chilometri di scaffali conserva le fonti della storia veneziana, che mille anni di indipendenza hanno meravigliosamente permesso di conservare. Dai rapporti degli ambasciatori ai trattati di pace, dai contratti mercantili e notarili ai verbali del Maggior Consiglio e delle tante Magistrature della Serenissima, le promissioni ducali, gli atti di governo di uno Stato che andava da Bergamo all’Istria, dalla Dalmazia all’Egeo. Ebbene, anche l’Archivio di Stato batte solo la bandiera italiana. Non ho mai chiesto perché, ma so già la risposta: l’Archivio è statale, la bandiera della Serenissima non ci può stare. La tipica risposta di uno Stato occupante…
Alvise Fontanella