12 Dicembre 2024
No menu items!
HomeIndipendenzEDoddore Meloni, un martire: in Italia gli indipendentisti possono morire, chissenefrega

Doddore Meloni, un martire: in Italia gli indipendentisti possono morire, chissenefrega

Meloni Salvatore, detto Doddore, è morto di fame nel carcere di Uta, in Sardegna. Sembra una cronaca medievale? Nossignore: è cronaca del 5 luglio 2017, cronaca dei nostri giorni, della civilissima Italia, quella che insegna a Putin cosa siano democrazia e diritti umani. Eppure, in Italia, gli indipendentisti possono morire, e chissenefrega. Nessuno grida allo scandalo, la grande stampa non se ne occupa, la politica si gira dall’altra parte.

Solo un prete, un parroco, ha il coraggio di celebrare il funerale in sardo, e di pronunciare in chiesa la parola di verità: «Oggi salutiamo un martire dell’indipendentismo».

Il funerale di Doddore Meloni, indipendentista sardo. Sulla bara, per volontà della vedova, anche la bandiera di San Marco.

Doddore Meloni, uomo simbolo dell’indipendentismo sardo, è un martire della lotta per l’indipendenza della sua Sardegna: è morto dopo ben 66 giorni di sciopero totale della fame, è morto da perseguitato e prigioniero politico nelle carceri italiane. Si è lasciato morire per protesta, nella sua cella la bandiera dei quattro mori e un libro su Bobby Sands, il martire dell’indipendentismo irlandese, che morì di fame nelle carceri inglesi.

Arresti domiciliari, richiesta respinta

Doddore Meloni era stato rinchiuso in carcere, già malato, a ben 74 anni, accusato di reati fiscali analoghi a quelli commessi da tanti imprenditori che girano liberi in Mercedes, e che lui però aveva commesso a fronte alta, per motivazioni politiche, cioè rifiutandosi di pagare le tasse all’Italia “stato invasore”.

LEGGI ANCHE Bepin Segato, ambasciatore dei Serenissimi: morte di una vittima dello Stato

Dopo 50 giorni di sciopero della fame, quando Doddore Meloni non si reggeva già in piedi, il suo avvocato implorò la concessione degli arresti domiciliari. Richiesta respinta: le sue condizioni di salute, sentenziò un magistrato pochi giorni prima della morte, sono assolutamente “compatibili con il regime carcerario“.

Della sua morte, non ci sono colpevoli

Lo trasferirono all’ospedale soltanto pochi giorni prima della morte, in condizioni disperate, e fu piantonato in ospedale, come se fosse stato in grado di fuggire. Dopo la sua morte, venne aperta un’inchiesta, che accertò che non c’erano colpevoli: era una morte perfettamente regolare, è il detenuto che non ha voluto mangiare, ed è morto. Tutto normale.

Doddore Meloni (foto dalla sua pagina Fb)

Doddore Meloni, però, non era un uomo normale. Era un sardo, anzitutto. E poi era un indipendentista. Un grandissimo indipendentista sardo, che per tutta la sua vita ha combattuto l’Italia, quello che chiamava “lo Stato invasore”, lo ha combattuto con le armi che aveva, fino alla morte.

Il progetto “sovversivo”

Fu arrestato la prima volta nel 1981, e accusato di essere a capo, lui e il professor Bainzu Piliu, insieme ad una trentina di persone, di un progetto “sovversivo” che consisteva nell’indipendenza della Sardegna.

Gli trovarono, pare, dell’esplosivo in casa, e lo accusarono di un attentato dinamitardo alla Tirrenia, e di avere in mente altre azioni, tipo far saltare un traliccio dell’Enel, secondo la prassi degli indipendentisti tirolesi.

E a fianco della attività “terroristica” presunta, c’era l’azione certa, politica: Doddore Meloni, nel 1981, da membro del Partito Sardo d’Azione, riuscì a far cambiare lo Statuto del partito, inserendo finalmente la parola Indipendenza al posto dell’equivoca “autonomia statuale” che c’era prima.

Gli emissari libici e il castello di accuse

Naturalmente il processo non riguardava direttamente questa sua azione politica, però quasi: secondo l’accusa, dietro questa sua azione politica ci sarebbero stati emissari libici, che avrebbero addirittura finanziato e fornito armi per le azioni “terroristiche”, in cambio dello spostamento del Partito Sardo d’Azione su posizioni nettamente indipendentiste.

Come se i Sardi avessero bisogno della richiesta dei libici per essere a favore dell’indipendenza della Sardegna. E infatti il castello di accuse internazionali, i presunti contatti con emissari libici, si sciolsero come neve al sole nel processo in Corte d’Assise.

Cospirazione e associazione sovversiva: nove anni

Corte d’Assise, non Tribunale “normale”, perché il reato per il quale Doddore Meloni fu processato e condannato a nove anni di galera era un reato monumentale: cospirazione politica e associazione sovversiva contro la integrità, l’indipendenza e l’unità dello Stato. Una cosa mai vista. Ancor oggi, Doddore Meloni ha l’onore di essere l’unica persona in Italia ad essere stato condannato per questo reato.

Uscito di prigione dopo aver scontato interamente la sua pena, Doddore naturalmente non aveva cambiato idee. E nel 2008 tornò agli onori delle cronache, con la Dichiarazione di indipendenza di Malu Entu.

Malu Entu, l’isola a cui l’Italia ha rubato il nome

Malu Entu è un’isola di neppure un chilometro quadrato, con altitudine massima di 18 metri sul livello del mare, un francobollo di terra emersa a cinque miglia marine dalla penisola del Sinis, nel mare di Sardegna.

L’Italia gli ha rubato persino il nome. Sarebbe inutile, infatti, cercare il nome di Malu Entu – cattivo vento, in lingua sarda – nelle carte ufficiali. Il nome italiano ufficiale dell’isoletta è infatti Mal di Ventre. Mal di Ventre, capito? Mal di pancia! Dissenteria!

Isola di Malu Entu

Ma come si fa a chiamare Mal di Ventre quell’angolo di paradiso marino? Sull’argomento ci sono decine di studi serissimi. Pare che la colpa sia di un impiegato piemontese dell’Ottocento, un funzionario dei Savoia, che tradusse malamente dal sardo all’italiano. Bene, è uno sbaglio che si rimedia in cinque minuti, no? No: dopo duecent’anni, l’isola si chiama ancora Mal di Ventre.

L’ossessione italiana di cancellare le identità

E non è un caso isolato. Sempre in Sardegna, c’è l’Isola de is Càvurus, che in lingua sarda sono i granchi. Nossignore, in italiano il nome è Isola dei Cavoli. E non c’è verso di cambiarlo. Perché l’Italia, nella sua ossessione di combattere e cancellare le identità dei popoli conquistati dal Regno del Piemonte, e sostituire ad esse l’unica e indivisibile identità nazionale, si compiace di cambiar nome alle isole, ai paesi, ai monti, ai fiumi.

Si compiace di storpiare, di tradire, di sostituire toponimi antichissimi, patrimonio culturale di un popolo. Dai nizioleti veneziani ai nomi tedeschi e ladini delle Alpi, dalle isole di Sardegna ai nomi stessi dei paesi veneti, è tutto un italianizzare, un cancellare la memoria autentica per sostituirla con una storia inventata.

Perché il nome di un paese o di una montagna, il nome antico, spesso più che millenario, deve essere “corretto”, sostituito con un nome italiano che gli somiglia, e che spesso non gli somiglia neppure? Perché non abbiamo diritto a mantenere il nome antico, in lingua veneta, o in lingua sarda?

Repubblica di Malu Entu

Ebbene, Doddore e un pugno di indipendentisti sbarcarono sull’isola di Malu Entu e proclamarono la Repubblica di Malu Entu, indipendente e sovrana. Era il 2008. Piantarono – orrore – sul sacro suolo un vessillo indipendentista. E interessarono pure l’Onu, per chiedere il riconoscimento internazionale.

L’Italia una e indivisibile non poteva evidentemente tollerare un simile affronto. Pochi mesi dopo l’armata italiana arrivò in forze: Capitaneria di Porto e Forestali sbarcarono sull’isola e la liberarono in quattro e quattr’otto dagli indipendentisti e dalle loro bandiere.

L’accusa: smaltimento illecito di rifiuti

Poi, siccome sarebbe stato un po’ arduo accusarli di secessione, sovversione, cospirazione ed altri reati gravissimi, non si trovò di meglio che imputare agli indipendentisti reati disonorevoli, tipo danneggiamento ambientale per aver piantato quattro rami e una tela per ripararsi dal sole, o smaltimento illecito dei rifiuti prodotti dai cittadini della Repubblica di Malu Entu nella loro breve permanenza sull’isola. Da queste ridicole accuse Doddore fu assolto, anche perché risultò che quei rifiuti non erano loro: gli indipendentisti avevano ripulito Malu Entu dai rifiuti che ingombravano l’isola, ridotta a una discarica prima del loro arrivo…

Doddore Meloni ebbe comunque un ordine di allontanamento da Malu Entu, a dimostrazione che quello che lo Stato temeva da lui non c’entrava nulla con i rifiuti e con l’ambiente, ma con la sua azione politica di indipendentista. Ma lui nella sua isola ci tornò, naturalmente, prima di essere arrestato e incarcerato nuovamente, con l’accusa di frode fiscale, che lui rigettò sdegnosamente, proclamandosi perseguitato politico.

Nel mirino dello Stato

Non sappiamo se Doddore Meloni abbia davvero commesso la frode fiscale che lo portò in galera. Sappiamo che più volte l’indipendentista sardo aveva sostenuto l’illegittimità dell’imposizione fiscale italiana: “Non un soldo allo Stato invasore”. Lui rifiutava di pagare le tasse all’Italia, e lo faceva apertamente, come oggi lo fanno – e sono andati sotto processo a Vicenza – gli indipendentisti veneti aderenti al Clnv. Dal punto di vista dell’Agenzia delle Entrate forse non cambia nulla, ma dal punto di vista morale, cambia tutto: non si può trattare Doddore Meloni come un evasore comune.

E poi diciamo le cose come stanno: il 74enne Doddore Meloni era nel mirino dello Stato non certo per la sua scarsa lealtà fiscale allo Stato invasore, ma soprattutto per la sua scomoda, ostinata azione per l’indipendenza della Sardegna. Dopo la dichiarazione di indipendenza di Malu Entu, oltre venti procedimenti sono stati avviati contro di lui: un accanimento giudiziario che parla da solo.

Doddore Meloni a processo con gli indipendentisti veneti

Era in galera in Sardegna, Doddore Meloni, quando venne coinvolto nell’inchiesta di Brescia contro l’Alleanza, la presunta “associazione sovversiva” che si batteva per l’indipendenza del Veneto, preparando gesti clamorosi ma del tutto incruenti, sull’esempio di quanto nel 1997 avevano fatto i Serenissimi, per riportare all’attenzione del mondo la volontà di indipendenza del popolo veneto.

Tra gli “alleati” – 47 persone furono mandate a processo per associazione sovversiva – c’era naturalmente anche Doddore Meloni, da sempre amico e fratello degli indipendentisti veneti. E non a caso, al suo funerale, c’erano Flavio Contin, e Tiziano Lanza, e Patrizia Badii e altri indipendentisti veneti. E per volontà della vedova di Doddore, sulla bara c’era anche la bandiera di San Marco. Nel video, di Tiziano Lanza, si vedono Patrizia Badii e Flavio Contin stendere sulla bara la bandiera.

Ammanettato in barella!

Doddore Meloni ammanettato in barella al processo di Brescia (foto di Tiziano Lanza)

Ebbene: alle udienze di Brescia, Doddore Meloni, già distrutto dal lungo sciopero della fame, presenziò scortato, e addirittura ammanettato in barella. Ammanettato, un uomo di 74 anni che parlava con un filo di voce e che non si alzava in piedi! Non è persecuzione, non è tortura questa?

Due mesi di sciopero della fame

Certo, non si può pretendere che ad un detenuto basti fare uno sciopero della fame per vedersi restituita la libertà. Però quando un uomo arriva a due mesi di sciopero vero, totale, della fame, per protesta, questo non grida qualcosa alle coscienze dei giudici, dei politici, dei giornalisti?

Non afferma, almeno sotto il profilo soggettivo, l’autentica coscienza di essere vittima di un’ingiustizia, non prova l’intima convinzione che rifiutare le tasse allo Stato invasore, per lui, fosse lecito e perfino doveroso, fosse la sola, ed assolutamente incruenta, arma a disposizione degli indipendentisti per ribellarsi?

Almeno gli arresti domiciliari

Non si poteva, almeno, ascoltarlo, riesaminare le carte, parlargli, concedergli gli arresti domiciliari, insomma fare un gesto magari irrituale, ma che lo convincesse a interrompere lo sciopero della fame?

Quando a fare lo sciopero della fame a intermittenza erano intellettuali di sinistra, era Marco Pannella, o erano terroristi assassini, ecco mobilitazioni di intellettuali, raccolte di firme, dibattiti su giornali  e tivù.

Se un immigrato facesse sciopero della fame…

Se oggi, nelle carceri italiane, un immigrato detenuto per reati comuni anche gravi, sostenesse per due mesi uno sciopero della fame, per protesta contro una condanna che sente ingiusta, si muoverebbero parlamentari e ministri, interverrebbero benemerite associazioni per l’integrazione e la solidarietà, i giornaloni nazionali gronderebbero lacrime, le Autorità si recherebbero a parlargli, ascolterebbero le sue ragioni, tenterebbero qualcosa.

L’indipendentista Doddore Meloni è morto di fame in carcere e non è colpa di nessuno, come ha accertato l’inchiesta. Non è colpa dei secondini, dei magistrati di sorveglianza, della Giustizia, dei medici. Tutti hanno fatto il possibile. Era lui che scioperava.

L’Italia lo ha lasciato solo

Protestava contro l’Italia: è l’Italia che lo ha lasciato solo, che lo ha lasciato morire, nel quasi totale silenzio dei media nazionali, che di autonomia e indipendenza parlano il meno possibile, e infatti ben pochi fuori della Sardegna hanno sentito parlare di Doddore Meloni.

L’Italia: il Paese dove gli indipendentisti, i fedeli degli antichi Stati massacrati, possono anche morire, e non si scandalizza nessuno. Possono morire, come a Fenestrelle i soldati napoletani rimasti fedeli ai Borbone. Possono morire sepolti nel fango di accuse indegne come smaltimento illecito di rifiuti e frode fiscale, che cercano di togliere loro anche l’onore. Possono morire come il nome antico e vero di Malu Entu. E che nessuno li ricordi più.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

- Advertisment -

I PIU' POPOLARI