12 Dicembre 2024
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“Cantar Marso” a Crespadoro, la filastrocca per maridar le pute

Cantar Marso
Questi giorni stanno riempiendo le nostre menti con immagini tristi e incredibili: da storico quale sono, mi sembra incredibile che l’uomo stia ancora “facendo la guerra” nel 2022.
Per distogliere il pensiero però, ho anche pensato che oggi è l’ultima domenica di febbraio e in passato questa data aveva un sapore tutto suo, un sapore fatto di gioia e festa perché significava una cosa sola per i paesi dell’alta valle: “cantar marso”.

1 marzo, Capodanno Veneto

Una volta, infatti, in tutto il nord Italia, e soprattutto in Veneto, uno dei momenti più attesi dell’anno era il mese di marzo. Nella tradizione contadina l’arrivo di questo mese era visto come la fine del lungo inverno e l’inizio della primavera che si affacciava con i primi tepori. Va inoltre precisato che, il 1 marzo rappresentava il cosiddetto “Capodanno Veneto”: la Serenissima aveva fissato l’inizio dell’anno proprio in quella data.

A Crespadoro e Molino

La Lessinia veronese e vicentina tramandava una particolare usanza che si affiancava alla più nota manifestazione che viene rappresentata a Recoaro. Alcuni anziani di Crespadoro e Molino mi hanno raccontato che in paese, l’ultima domenica di febbraio, si era soliti ad andare in giro per le case delle giovani “ragazzuole” che avevano o cercavano un fidanzato per “maritarle” in modo simbolico e giocoso.

I piassarotti

Il programma era abbastanza semplice. All’imbrunire i ragazzi (tra i 12 e i 15 anni) si incontravano nei tipici luoghi del ritrovo paesano: per i cosiddetti “piassarotti” di Crespadoro (vi era una decisa divisione sociale tra chi abitava in piazza e chi invece nelle contrade sparse per il territorio) ci si ritrovava solitamente in piazza o al capitello dei sette martiri, mentre a Molino nel sagrato davanti alla Chiesa.

La filastrocca

Si portavano appresso vecchie pentole, coperchi e mestoli per far rumore e si avviavano verso le abitazioni di queste ragazze. Giunti sulla porta l’allegra combriccola iniziava a recitare questa filastrocca:
“Semo qua par cantar marso in questa sera,
par maridare una puta bela
(Solista) chi ela o chi non ela?
La … (nome della ragazza) che l’è pì bela,
(solista) chi ghe demo par sposo?
Ghe demo … (nome del ragazzo) che l’è un bel toxo.
(Solista) Cosa ghe demo par dota?
Na cavara sensa tete tacà na stropa
du ovi insima un palo
un asino che li coa:
deghela deghela deghela che l’è sua. “

Far paura all’inverno

Finita la piccola recita tutti battevano i coperchi, le pentole e quanto potevano per far gran baccano: il frastuono che veniva fatto si collega all’antica usanza di “far prendere paura” all’inverno affinché se ne andasse.

Maridar le pute

Solitamente i ragazzi andavano a “maridar” le coppiette di fidanzati, recitando la filastrocca davanti alla porta della ragazza che dopo usciva offrendo loro qualche dolciume (rimase famoso il caso in cui un fidanzato fu talmente orgoglioso di essere stato “sposato” con la ragazza che corteggiava che lui stesso uscì di casa e fece una piccola mancia a tutti i “bocia” che avevano appena recitato).

Quele che sposa Celio

Quando invece si voleva sposare qualche ragazza un po’ snob o senza fidanzato, maliziosamente i ragazzi indicavano come sposo qualche sempliciotto o vecchiotto brutto del paese: a Crespadoro venivano solitamente sposate con “Celio” (era un uomo “sempliciotto” e con qualche problema che però si vantava di aver sposato decine e decine di ragazze).
In questo caso i ragazzi, dopo aver cantato la filastrocca, scappavano via di corsa, perché rischiavano di beccarsi qualche bel secchio d’acqua addosso.

Il legame con la Lessinia

Questa usanza si attesta sui nostri paesi fino alla fine degli anni ’50 del ‘Novecento e, come altre usanze andate in disuso, si rivela molto importante per la socialità e la coesione del paese. Inoltre, rappresentano un forte legame con la Lessinia. Legame che si esplica nel linguaggio della filastrocca che usa dei termini di origine veronese come “puta/putela”.

Bruno Castelletti racconta de cantar marso

Questa filastrocca infatti, similmente, è stata anche riproposta da Bruno Castelletti nel suo libro di poesie “Stele dell’orsa”, in cui si racconta de “cantar marso” nella Lessinia Occidentale e centrale: esempio lampante di un forte legame culturale tra le nostre terre.
Un piccolo aneddoto: una bambina che abitava in piazza a Crespadoro, proveniente da una famiglia considerata “borghese” volle andare a “cantar marso” con gli altri ragazzi del paese e prese di corsa due coperchi di ferro smaltati. Tornata a casa dopo la baldoria i coperchi erano tutti con lo smalto crepato e rotto. Inutile dire che la poveretta si prese così una bella ramanzina dalla mamma che la stava aspettando a casa.
Giacomo Repele
Un gruppo di ragazze a Crespadoro negli anni ’50
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