Chi non conosce la Disfida di Barletta, le gesta di Ettore Fieramosca e dei tredici cavalieri italiani, radunati da tutta la penisola, che atterrarono altrettanti cavalieri francesi, vincendo la tenzone e dimostrando il valore di un’Italia unita?
La propaganda risorgimentale: D’Azeglio
I nostri testi scolastici ancor oggi la citano, continuando l’interpretazione della propaganda risorgimentale iniziata da Massimo D’Azeglio, che sulla Disfida di Barletta pubblicò a Milano – nel 1833 – un fortunatissimo romanzo patriottico, ahinoi sfuggito alla censura austriaca, da cui trasse anche un’opera teatrale, e dipinse un celebre quadro.
Lungo tutto il Risorgimento, il romanzo di D’Azeglio, “Ettore Fieramosca ossia La Disfida di Barletta” fu ripubblicato in decine di edizioni: la vicenda costituiva la prova che i popoli “calpesti e derisi” dell’Italia disunita, se si stringevano insieme potevano combattere alla pari, e vincere, con le grandi potenze nazionali europee.
Tanto che la città di Barletta ospita un monumento a Massimo D’Azeglio, il quale – ricorda l’epitaffio – con l’opere sue “accrebbe a Barletta lustro e onore”.
D’Azeglio e il cavaliere “traditore”…
Del romanzo di D’Azeglio, merita sottolineare un particolare della trama: uno dei cavalieri francesi, tale Claude Grajan d’Aste, viene condannato dall’autore e qualificato come traditore della causa italiana, in quanto originario di Asti, all’epoca dominio francese.
E naturalmente il povero Claude Grajan viene non solo sconfitto come gli altri, ma anche ucciso nello scontro con gli italiani. Un esplicito avvertimento, da parte del massone D’Azeglio, agli italiani “traditori” che non sposavano la causa dell’Italia unita, i quali evidentemente erano piuttosto numerosi…
I film polpettone sulla Disfida di Barletta
La fortuna continuò fino all’epoca fascista, con decine di pubblicazioni, opere teatrali, e ben tre film polpettone “storici”, di cui l’ultimo, del 1938, vide la partecipazione di Gino Cervi.
Tutt’altra cosa – e priva di retorica risorgimentale – è il film del 1976 “Il soldato di ventura”, una commedia con Bud Spencer nel ruolo di Fieramosca. La Disfida sbarcò anche nei fumetti con “La disfida di Paperetta”, pubblicato in Topolino nel 1982.
Monumenti e lapidi, la retorica risorgimentale
Ancora oggi, a Barletta, a Trani e nelle Puglie, e nelle case natali dei tredici cavalieri italiani, la retorica risorgimentale ha posto, ma solo quattro o cinque secoli dopo la Disfida, monumenti e lapidi inneggianti all’Italia unita.
L’unica stele “storica”, eretta nel Cinquecento sul luogo del combattimento, a Mattina Sant’Elia nell’agro di Trani, riportava in latino la cronaca nuda dei fatti, “Hic dedit Italiae Gallia victa manus…”. Ma è stata modificata, con aggiunta di brutti versi patriottici inneggianti all’unità d’Italia, soltanto nel 1903.
La storia della Disfida di Barletta
Tutta questa monumentale produzione risorgimentale e propagandistica ci ha raccontato ogni particolare storico della Disfida.
Dalla cena nella cantina di Barletta in cui un comandante delle truppe francesi, Charles de Torgue, detto Guy de la Motte, derise il valore dei combattenti italiani sotto il comando spagnolo, accusandoli di essere solo dei vigliacchi, codardi e traditori.
Dalla piccata risposta del comandante spagnolo, Inigo Lopez de Ayala, che difese le truppe italiane affermando che erano soldati di valore paragonabile alle truppe francesi, fino al guanto di sfida e alla tenzone che il 13 febbraio del 1503, su una pianura in territorio di Trani, nelle Puglie, oppose 13 cavalieri francesi a 13 campioni scelti tra le truppe italiane, nati nel Regno di Napoli per lo più, ma anche provenienti dal Ducato di Milano, dall’Emilia, dalla Toscana.
Dopo aver ascoltato la Santa Messa, i cavalieri si affrontarono lancia in resta, e i cavalieri italiani comandati dal capitano Ettore Fieramosca stravinsero.
Perché lo scontro avvenne a Trani
Ma vi è un piccolo particolare che la tradizione risorgimentale curiosamente dimentica: perché l’epico scontro avvenne in territorio di Trani, e precisamente a Mattina Sant’Elia, nell’agro di Trani? Ebbene, non fu un caso. La disfida tra francesi e italiani si disputò infatti, come era giusto che fosse, in campo neutro, né francese né italiano.
Trani era veneziana, non italiana
E come campo neutro, i contendenti scelsero una piana in territorio di Trani perché Trani, come altre città della Puglia, a quel tempo non era italiana: Trani era veneziana. E la Serenissima, tutti lo sapevano, non era Italia, non era una potenza italiana. Non avrebbe favorito né i francesi né gli italiani: era sentita come un campo neutro.
Nessuno dei cavalieri italiani che si sfidarono sulla pianura di Trani veniva dalle Terre di San Marco. Ettore Fieramosca veniva da Capua, italiani erano e si sentivano gli altri cavalieri napoletani, calabresi, toscani, romani, emiliani, umbri, milanesi. Venezia, era un’altra cosa, era un’altra Patria, anche se la propaganda risorgimentale ha nascosto e mistificato questa verità.
Montanelli, Beggiato e la Serenissima mai italiana
La Repubblica Veneta non fu mai uno Stato italiano. Lo riconobbe, in tempi recenti, anche il grande Indro Montanelli, che certo non ebbe simpatie leghiste o indipendentiste. E lo scrisse, Indro Montanelli, sul Corriere della Sera, in una celebre corrispondenza con Ettore Beggiato, nel 1996, anno lontano ormai nel tempo, ma tuttora anno vicinissimo a noi per le aspirazioni di autonomia e indipendenza del Veneto che lo animarono e che tuttora ci animano. “Venezia non fu mai italiana“, così scrisse Montanelli, con la sua abituale franchezza.
E la vera storia della Disfida di Barletta, la scelta del “campo neutro” sotto giurisdizione veneziana, documenta anch’essa questa verità, e cioè che la Serenissima non era, non si sentiva, e non era considerata, uno Stato italiano.