Autonomia del Veneto, siamo alla marcia della morte. Quasi quattro anni dopo il referendum per l’autonomia, circolano documenti non ufficiali che contengono tre nuove obiezioni “di carattere generale” alla richiesta di autonomia differenziata delle Regioni. Obiezioni-bomba sull’aspirazione del Veneto a gestire in autonomia tutte le 23 materie che la Costituzione prevede possano essere affidate alle Regioni. Obiezioni-bomba che fanno saltare tutto e negano di fatto al Veneto l’autonomia prevista dalla Costituzione.
Il giallo della relazione che «non c’è»
Il tutto condito con una sorta di “giallo“: pochi giorni fa, in Regione Veneto si parlava di una “relazione Gelmini“, nella quale la ministra per le Regioni e le Autonomie, Mariastella Gelmini, riassumeva le obiezioni al passaggio di poteri alle Regioni.
Una relazione che, aveva detto il presidente Luca Zaia, «non va bene» e alla quale il Veneto stava preparando «controdeduzioni». Scoppia il finimondo, i militanti fanno capire che con la Lega al governo questi passi indietro sono inaccettabili, forse da Roma qualcuno lamenta che documenti ancora informali siano stati parzialmente resi pubblici nei loro contenuti, e oggi Luca Zaia getta acqua sul fuoco: “Mi sono espresso male – spiega il presidente del Veneto al Gazzettino – non c’è una relazione Gelmini“. Il Veneto starebbe solo elaborando un documento in vista della riapertura delle trattative Stato-Regione, con le sue osservazioni ai documenti presentati dai governi precedenti.
Il muro di obiezioni resta
Molto bene, in attesa di chiarire il giallo del documento che non c’è ma al quale il Veneto presenta “controdeduzioni”, la sostanza non cambia di molto. Che ci sia un documento Gelmini o un complesso di posizioni risalenti ai governi precedenti alle quali il Veneto si oppone, c’è un muro di obiezioni alzato da Roma, obiezioni di carattere generale che in buona parte sono nuove, appaiono molto più radicali di quanto era emerso in precedenza. Ben presto vedremo nei fatti se il ministro Gelmini sposerà questa linea o no.
Obiezioni “di carattere generale”
Le obiezioni “di carattere generale” sul tappeto riguardano i poteri che possono venir trasferiti alle Regioni. Sul punto, la Costituzione è molto chiara: le 23 materie trasferibili alle Regioni sono quelle in cui è attualmente in vigore la cosiddetta “competenza concorrente“, cioè competenza condivisa tra Stato e Regioni, cosa che è sempre fonte di confusione e incertezza normativa.
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Parrebbe quindi ovvio e logico che il trasferimento dei poteri alla Regione non possa che essere totale, nel senso che la competenza concorrente, oggi “condivisa” tra Stato e Regione, diventa competenza tutta regionale, se no di che cosa stiamo parlando?
Competenze legislative o amministrative?
Ma secondo queste “obiezioni”, non si possono trasferire alla Regione tutte le competenze, sia legislative che amministrative, in una data materia. Si possano trasferire alla Regione soltanto le competenze legislative, oppure soltanto quelle amministrative. Non entrambe.
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Una follia, e non servono esperti costituzionali per capirlo. Le competenze amministrative, tanto per spiegarci con parole semplici, sono i poteri relativi alla applicazione pratica delle norme di legge. Come si può pensare di trasferire ad una Regione il potere di fare le leggi su una data materia, ma spogliandola del potere di applicarle concretamente? Oppure di trasferire alla Regione solo il potere “pratico” ma non quello legislativo, che rimarrebbe allo Stato, e quindi tra l’altro sarebbe la negazione del trasferimento di poteri previsto dalla Costituzione?
Conflitti infiniti e confusione
In entrambi i casi, nascerebbero conflitti infiniti, che aumenterebbero la confusione di poteri attuale. Se si vuole che il disegno costituzionale funzioni, le materie vanno trasferite alle Regioni puramente e semplicemente, in modo che sia chiaro di che cosa si occupa lo Stato e di cosa si occupa la Regione.
Ma non basta: c’è una seconda obiezione, relativa alla procedura da seguire per il passaggio di poteri dallo Stato alla Regione. La Costituzione prevede semplicemente un “accordo” tra Regione e Governo. Nossignore, anche questo non va bene. Troppo semplice, tropo bello, evidentemente.
Il passaggio parlamentare
Già i governi precedenti, quegli stessi che a colpi di decreti legge e dpcm si facevano continuamente beffe del Parlamento, quando si tratta di dare l’autonomia al Veneto erano diventati i più strenui difensori del sacro ruolo del Parlamento. Già avevano messo le mani avanti, avvertendo che l’autonomia non si dovrebbe dare se non dopo un passaggio parlamentare dell’accordo tra Stato e Regione.
Un’altra idea – lo capiscono tutti – buona solo per NON dare l’autonomia: figuriamoci come sarebbe il passaggio parlamentare di un’intesa Stato-Regione che riguardi le 23 materie previste dalla Costituzione.
Commissioni parlamentari, migliaia di emendamenti
Verrebbero interessate tutte, nessuna esclusa, le Commissioni Parlamentari, in entrambi i rami del Parlamento. Ciascuna di esse formulerebbe obiezioni e modifiche più o meno pesanti, l’Aula avallerebbe richieste di cambiamenti radicali, i parlamentari del Sud farebbero ostruzionismo di fatto, presentando migliaia di emendamenti.
Ci vorrebbero anni, l’intesa verrebbe stravolta, sfigurata, cancellata, Stato e Regione Veneto dovrebbero ricominciare da zero, e il nuovo accordo dovrebbe probabilmente ripassare in Parlamento.
La soluzione finale ammazza-autonomie
Ma ci sarebbe un’ultima “obiezione di carattere generale”, una vera soluzione finale ammazza-autonomie. E sarebbe che per dare al Veneto l’autonomia prevista dalla Costituzione servirebbe il consenso di TUTTE le altre Regioni, perché tutte le altre Regioni verrebbero interessate dal ridisegno istituzionale di poteri. Come se questo ridisegno non fosse previsto dalla Costituzione!
De Luca che vota per il Veneto…
In pratica, il coinvolgimento delle altre Regioni è uno scenario del tutto irrealistico, che infatti la relazione della ministra nemmeno tenta di descrivere come dovrebbe avvenire, e secondo quali procedure. Sarebbe una cosa mai neppure immaginata, che di fatto affosserebbe qualsiasi possibilità di dare al Veneto e alle Regioni del Nord qualsiasi tipo di reale autonomia. Ve lo vedete voi il simpatico presidente della Campania, Vincenzo De Luca, votare una proposta di vera autonomia per il Veneto?
Ma la scuola no
Oltre alle obiezioni “di carattere generale”, altri paletti riguardano le materie trasferibili alle Regioni, escludendo per esempio la scuola, che rimarrebbe in sostanza materia statale. Questa posizione ha l’appoggio dei sindacati nazionali della scuola, il che è politicamente un vantaggio. Però scusate, visto che la Costituzione “più bella del mondo” prevede tranquillamente il passaggio alle Regioni di questa materia, prevale il dettato costituzionale o il veto dei sindacati?
La questione dei soldi
Infine c’è la questione dei soldi. In buona sostanza, le Regioni che chiedono maggiori autonomie non sperino di avere facilmente anche i fondi statali relativi. Anche questa posizione, già assunta sotto i governi precedenti, è di fatto anti-costituzionale.
La Costituzione infatti, è chiara: lo Stato trasferisce alle Regioni le competenze sulle materie richieste, insieme alle quote di gettito fiscale che lo Stato stesso utilizzava per gestire quelle materie. Semplice, e anche giusto, no? Se gestisco io la scuola, mi darai le risorse che prima utilizzavi per pagare docenti supplenti e bidelli, per finanziare la manutenzione degli immobili e il riscaldamento delle aule, eccetera eccetera? Nossignore. Lo Stato, se proprio sarà costretto a mollare qualche materia, non intende trasferire anche i fondi, ma solo una parte di essi. E lo scontro su questo punto essenzialissimo, è solo rinviato.
Luca Zaia: non va bene, risponderemo
Luca Zaia, governatore del Veneto, aveva bocciato il complesso delle “obiezioni” romane: «Non va bene, risponderemo, faremo le nostre controdeduzioni, e non rinunciamo a nulla», annuncia il presidente, che comunque incassa almeno la ripresa delle trattative sull’autonomia dopo la lunga stasi per l’emergenza Covid. Il governatore del Veneto, l’uomo che ha voluto e vinto il referendum veneto per l’autonomia, e ha imposto la questione nell’agenda politica italiana, si mostra fiducioso: “Io nell’autonomia ci credo ancora”. Ma in Regione si racconta di uno Zaia davvero fuori dei gangheri dopo il colpo basso di Roma.
Morosin: è ora di battere i pugni sul tavolo
Ma le prospettive, a quattro anni dal referendum veneto per l’autonomia, sono nere. Lo sottolinea, con un amaro post su Facebook, l’avvocato Alessio Morosin, di Indipendenza Veneta. Parlando di insabbiamento e invitando gli “impiegati politici” del Veneto non limitarsi alle controdeduzioni ma a “battere legittimamente i pugni sul tavolo”. Ecco il post di Morosin:
La questione è di governo, di centrodestra e di Lega
E a questo punto, di fronte a obiezioni generali che puntano ormai apertamente a negare al Veneto l’applicazione della Costituzione, forse per dare tempo al Parlamento di modificarla e restringere l’elenco delle materie “trasferibili” (ci sono già progetti di legge in questo senso…), sembra inevitabile che la questione venga posta con chiarezza a livello di maggioranza di governo, a livello di alleanza di centrodestra e anche in Lega, partito sempre più italiano, partito al governo, ma massicciamente votato da veneti e lombardi che l’autonomia la vogliono.
Prima il Veneto o prima l’Italia?
Adesso il punto è: da che parte sta la Lega nazionale, la Lega di Salvini e del “Prima l’Italia”? Sta con le “obiezioni” o con l’autonomia del Veneto? E cosa fa, per far trionfare le ragioni e i diritti dei veneti, per impedire che l’autonomia venga inghiottita dalla palude? Per l’ennesima volta dal plebiscito del 1866, tocchiamo con mano che “Prima il Veneto” non è sempre compatibile col “Prima l’Italia“. Viene il momento in cui bisogna scegliere.