Sei anni sono trascorsi dal referendum per l’Autonomia del Veneto, un vero plebiscito per l’Autonomia che ha consegnato al presidente Luca Zaia e al suo partito, la Lega, un mandato che più forte non si può, per chiedere l’applicazione delle norme costituzionali che prevedono la cosiddetta “autonomia differenziata“, la facoltà di una Regione di ottenere dallo Stato poteri e competenze relativi alle 23 materie elencate dalla Costituzione.
Autonomia e presidenzialismo
Nel programma del governo Meloni c’è l’Autonomia differenziata, ma “bilanciata” dalla riforma “presidenzialista” ora diventata “premierato all’italiana“. Questa riforma aumenta i poteri del premier e dunque, nel pensiero di Giorgia Meloni e di Fratelli d’Italia, dovrebbe equilibrare i maggiori poteri da assegnare alle Regioni.
Sarebbe stato logico aspettarsi, in un’ottica di leale collaborazione istituzionale, che il trasferimento di poteri alle Regioni, e cioè l’Autonomia differenziata richiesta dal Veneto e da altre Regioni, si realizzasse prima e più facilmente della riforma costituzionale in senso presidenzialista voluta da Giorgia Meloni. Quest’ultima infatti richiede importanti modifiche alla Costituzione, mentre l’Autonomia differenziata è prevista dall’attuale Costituzione, basta applicare le norme esistenti.
L’Autonomia nella palude
Ma vediamo invece com’è andata. L’applicazione delle norme costituzionali che disegnano l’Autonomia richiesta dal Veneto è nella palude dei Lep, i famigerati “livelli essenziali di prestazione” che dovrebbero essere garantiti dall’Alpi alle Piramidi prima di dare l’Autonomia al Veneto, benché la Costituzione non faccia cenno a simili condizioni capestro.
E intanto il governo licenzia all’unanimità il disegno di legge di riforma costituzionale che piace a Giorgia Meloni: cinque articoletti cinque, un’agilità davvero inusuale per i disegni di legge italiani.
Il premierato forte
Cinque articoli che disegnano un premier più forte, eletto dal popolo, una norma anti-ribaltoni, e limano di conseguenza alcune prerogative del Presidente della Repubblica, tipo la facoltà di sciogliere una sola delle Camere, o la nomina dei senatori a vita, o la possibilità, così volentieri praticata sino ad oggi, di incaricare presidenti del Consiglio a piacere, scegliendo anche tra “tecnici” o rappresentanti di schieramenti diversi da quelli che hanno vinto le elezioni.
Come tutti disegni di legge che modificano la Costituzione, le norme per il “premierato forte” dovranno passare per due volte il voto in entrambe le Camere, e se non otterranno la maggioranza dei due terzi, saranno esposte al giudizio del referendum popolare, quello stesso che affossò la riforma Renzi, accentratrice di poteri a danno delle Regioni.
Rischio mortale per l’Autonomia
Ma proprio nel complicato percorso parlamentare della riforma costituzionale Meloni si annida un rischio mortale per l’Autonomia del Veneto. A Roma già se ne parla, e non solo sottovoce. Da Renzi a Calenda a vari esponenti Pd, e persino di Fratelli d’Italia, non si fa mistero di voler cambiare la Costituzione, cancellando o edulcorando le norme che disegnano l’Autonomia differenziata.
Molte delle materie che l’attuale Costituzione prevede possano venir trasferite alle Regioni verrebbero eliminate, altre materie verrebbero sì trasferite ma solo in parte, o sotto la stretta “supervisione” dello Stato centrale.
La lobby trasversale anti-autonomie
Si è formata in Parlamento una forte lobby “anti-autonomie” che unisce deputati e senatori del Pd, di 5stelle, di Fratelli d’Italia, di Forza Italia, dei centrini di Renzi e Calenda, e persino parlamentari della Lega eletti nel Sud Italia.
Questa lobby trasversale, durante l’iter parlamentare della riforma Meloni, punta a inserire tra le modifiche costituzionali anche un articolo che depotenzia le autonomie regionali, riservando allo Stato le più importanti materie che l’attuale Costituzione prevede possano essere trasferite alle Regioni.
Il colpo di grazia, l’Autonomia ristretta
Per l’Autonomia richiesta dal Veneto sarebbe il colpo di grazia. Le famose 23 materie previste dalla Costituzione vigente, e tutte richieste da Luca Zaia, diventerebbero 17 o 18, e sarebbero ampiamente riscritte e “ristrette”. Alle Regioni resterebbero le briciole: non solo non potrebbero più chiedere le materie più importanti oggi previste, ma rischierebbero un passo indietro perché tra gli spazi di autonomia che sarebbero riscritti a vantaggio dello Stato ci sarebbe anche la Sanità, da anni materia regionale.
L’appello ai parlamentari veneti
Torna sempre più d’attualità l’appello che esponenti veneti molto avveduti in tema di autonomie, quali Roberto Marcato, Alessio Morosin e Simonetta Rubinato avevano rivolto quando stavano nascendo i governi Conte e poi Meloni.
E cioè che i parlamentari eletti nel Veneto avrebbero dovuto condizionare il loro sostegno al governo alla concessione delle autonomie richieste dal Veneto. Avrebbero dovuto rappresentare fieramente gli interessi del Veneto, come fanno i parlamentari sudtirolesi per il Sudtirolo, ma anche i parlamentari delle Regioni del Sud per i loro territori.
No al premierato forte senza regionalismo forte
La riforma costituzionale per il “premierato forte” voluta da Giorgia Meloni può essere votata dai parlamentari veneti soltanto se, prima di quella o al massimo insieme a quella, passa anche il Regionalismo Forte, l’Autonomia richiesta dal Veneto. Senza tagli e senza trucchi.
Per favore, non facciamoci prendere in giro un’altra volta.