Autonomia del Veneto: a tre anni dal referendum in cui la stragrande maggioranza dei cittadini veneti l’ha chiesta, a Roma si registra un brutto stop.
Il disegno di legge a firma del ministro Francesco Boccia (Pd) è stato stralciato dai collegati alla Legge di Bilancio in discussione alla Camera, su richiesta del governo.
Il disegno di legge Boccia è la “legge quadro” che doveva costituire la premessa per il trasferimento al Veneto, alla Lombardia, all’Emilia Romagna e alle altre Regioni che lo hanno chiesto, delle “ulteriori competenze” e autonomie previste dalla Costituzione italiana. Dopo infinite trattative e compromessi, il disegno di legge Boccia aveva finalmente ottenuto il via libera dalle Regioni – anche quelle del Sud, che in realtà l’autonomia non la vogliono assolutamente, e l’hanno chiesta solo per renderne più difficile il cammino – e dai partiti di maggioranza, in particolare dai Cinquestelle, spaccati in due sull’argomento.
Tutto inutile, accettare i compromessi non è bastato
Ma anche questo non è bastato. Non sono bastati i mille compromessi che Veneto e Lombardia hanno dovuto accettare, a cominciare dal fatto che si sarebbe avviato per ora soltanto il trasferimento alle Regioni di competenze amministrative senza troppa importanza, rinviando il trasferimento vero delle competenze a dopo l’entrata in vigore dei mitologici “livelli minimi di prestazioni e servizi” garantiti in tutte le Regioni – che sono utilizzati come un grimaldello per scardinare ogni possibile autonomia differenziata, visto che richiedono dai 70 ai 100 miliardi l’anno per venire attuati, e dovrebbero essere “imposti” da non si sa chi, in Regioni che non hanno né la capacità organizzativa, né la compagine sociale per attuarli.
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Ancora a fine settembre 2020, il ministro per gli affari regionali Francesco Boccia aveva assicurato che “il governo è pronto” e la legge quadro sulle autonomie differenziate sarebbe arrivata in porto celermente. Così non è stato. Venerdì scorso, 18 dicembre, su richiesta dei ministri Cinquestelle, il governo che Boccia diceva “pronto” ha chiesto lo stralcio del ddl quadro delle autonomie regionali. Ed è un De Profundis per le maggiori autonomie chieste dal Veneto: se perfino un disegno di legge come quello presentato da Boccia, annacquatissimo dai compromessi, limitato a poche e disarticolate competenze meramente amministrative, non riesce a venir approvato senza problemi, come si può pensare che la stessa maggioranza di governo sia in grado di trasferire alle Regioni che lo chiedono i poteri veri, le competenze decisive e i capitoli di spesa relativi, che la Costituzione prevede?
Il progetto di cancellare le autonomie dalla Costituzione
Quando gli si chiederà ragione del voltafaccia, il ministro Boccia e il governo giureranno probabilmente che si tratta soltanto di un cambio di tattica, e che il disegno di legge stralciato dai collegati alla Legge di Bilancio sarà recuperato e portato avanti in altro modo, utilizzando “veicoli” diversi da quello delle norme finanziarie. Ma sarà una bugia. La retromarcia sulle autonomie è politica: nei Cinquestelle non c’è più una maggioranza favorevole. Ha vinto la sinistra, ha vinto Leu, il partito di Stefano Fassina e Laura Boldrini, hanno vinto i comitati, popolarissimi tra i “sudisti” del Sud e del Nord, che cercano di affossare le autonomie regionali.
E a loro non importa nulla di quello che sta scritto nella Costituzione. Sta scritto che le Regioni possono chiedere le “ulteriori competenze”? Ebbene, cambiamo la Costituzione e cancelliamo quell’articolo, che fu introdotto da quel pericoloso leghista nordista che risponde al nome di Massimo D’Alema.
L’effetto Covid gioca a favore del centralismo
E non c’è da prendere sottogamba la minaccia di cancellare dalla Costituzione quel minimo di regionalismo che i Padri della Repubblica Italiana “una e indivisibile” ci hanno messo dentro. L’effetto Covid ha ormai abituato molti cittadini italiani a dipendere da decreti e ordinanze decisi a Roma, e i grandi media nazionali hanno fatto il resto, alimentando una visione distorta, in base alla quale ci sarebbe a Roma un governo centrale che dovrebbe gestire direttamente le cose, mentre le Regioni fanno solo confusione.
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La popolarità, l’abilità e il pragmatismo di Luca Zaia hanno finora, in Veneto e anche fuori del Veneto, limitato i danni, accreditando l’immagine di Regioni efficienti in grado di autogovernarsi, ma è una battaglia durissima: il vento della pandemia e della continua emergenza soffia a favore del centralismo, e già molti parlano di riordinare le competenze sulla sanità, togliendole alle Regioni, e persino di introdurre in Costituzione una “clausola di supremazia” dello Stato sulle Regioni. Una clausola che ha senso nei Paesi federali come la Germania, dove le Regioni governano i loro territori senza ingerenze se non in casi eccezionali, ma che in Italia, il paese del centralismo più tirannico che vi sia in Europa dopo la Spagna, avrebbe soltanto l’effetto di cancellare non solo la richiesta di maggiori autonomie da parte del Veneto, ma anche quel minimo di autogestione che le Regioni pù sviluppate si sono conquistate, a vantaggio del loro cittadini, in cinquant’anni di lotta al centralismo statale.