30 Ottobre 2024
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Cadore nella Serenissima, la Dedizione del 31 luglio 1420 e quel Leone nel cuore

Nel palazzo della Magnifica Comunità del Cadore, a Pieve di Cadore, c’è un quadro recentemente restaurato, che del Commonwealth veneziano e delle Dedizioni dei territori alla Serenissima dice più di un libro di storia, e meglio: perché nessuna propaganda antiveneziana, nessuno storico italianista, nessuna fake sui presunti “secoli bui” prima del cosiddetto Risorgimento, potrà mai cancellare la simbologia chiarissima di quell’opera.

Pieve di Cadore. Palazzo della Magnifica Comunità del Cadore, il Leone di San Marco sulla torre civica

Cesare Vecellio, cugino di Tiziano

E’ il quadro che Cesare Vecellio, pittore cadorino secondo cugino e allievo del Tiziano, donò alla Magnifica Comunità del Cadore, poco prima di morire. Era il 1599: quasi due secoli erano trascorsi d quel 31 luglio del 1420, quando il popolo cadorino aveva deliberato di darsi alla Serenissima con il celebre atto “Eamus ad bonos venetos”.

Bandiera del Cadore. Il Leone di San Marco con la Croce regge lo stemma del Cadore (foto dall’Archivio fotografico della Magnifica Comunità del Cadore).

In quei due secoli, con tutta evidenza, il patto tra il Cadore e Venezia aveva funzionato alla grande, e l’opera di Cesare Vecellio ne è la dimostrazione lampante.

Il cuore rosso col Leone dentro

Nel quadro, sullo sfondo della Scala dei Giganti di Palazzo Ducale a Venezia, sulla quale i delegati del Cadore salgono per comunicare al Doge la scelta di darsi a Venezia, si vede la Vergine Maria col Bambino in braccio, e San Marco col Leone, alle spalle di Venezia, rappresentata come Regina, con la corona e lo scettro del potere, che consegna alla Comunità del Cadore la lettera ducale con gli Statuti di Autonomia concessi dalla Serenissima.

A riceverli, è una giovane donna cadorina coperta dallo stemma della Magnifica Comunità del Cadore. E sopra di lei appare una figura biancovestita, che rappresenta la Fedeltà, una mano che indica lo stemma del Cadore e l’altra che regge un cuore. Un cuore rosso con un Leone dentro.

Un patto tra liberi

Quel cuore col Leone dentro, dipinto due secoli dopo la Dedizione che celebra, mi commuove perché testimonia non una sudditanza ma un amore, un matrimonio, un patto tra liberi. Non vi era necessità alcuna di ricorrere a quell’immagine quasi romantica: sarebbe stato più che sufficiente, per celebrare la Dedizione, dipingere i rappresentanti e i simboli del Cadore inchinarsi alla Dominante e ricevere da lei gli Statuta di autonomia.

Felice convivenza

Quel Leone nel cuore racconta due secoli di felice convivenza, di stretti e fruttuosi scambi economici per entrambe le parti, di taglie fornite dal Cadore all’Arsenale veneziano per sostenere la potenza commerciale e militare della Serenissima e quindi la libertà e prosperità di tutti.

Identità riconosciute

Quel Leone nel cuore racconta di patti mantenuti, rinnovati, fedelmente rispettati e confermati nei secoli. Racconta di identità riconosciute, di diritti di autogoverno pacificamente e proficuamente esercitati dalla Comunità del Cadore all’interno della Serenissima.

L’invito del Doge Mocenigo

La Dedizione del Cadore fu una scelta. Una scelta, naturalmente, che sappiamo compiuta nella storia del Quattrocento, il secolo dell’espansione della Serenissima, quando il potere temporale dei Patriarchi di Aquileja era ormai in declino e sul Cadore in particolare mostrava larghissime crepe.

Tommaso Mocenigo, Doge

L’invito del Doge Tomaso Mocenigo alla Comunità del Cadore di giurare fedeltà a Venezia non era certo un invito tra pari, la forza e lo status delle due parti non era paragonabile, come non lo fu in alcuna delle altre Dedizioni di città e territori a Venezia.

Statuti di Autonomia

Eppure, anche calata in quella situazione storica, la scelta di “invitare” un popolo a darsi alla Serenissima, la scelta di patteggiare Statuti di Autonomia, di lasciare ampio autogoverno ai territori e alle Comunità, e soprattutto la capacità di mantenere questi patti nel tempo, è un carattere delle Istituzioni veneziane che andrebbe riletto come merita.

Il Commonwealth veneziano

La propaganda, prima napoleonica e poi austriaca e sabauda, e tuttora quella “italianista”, ha sempre utilizzato il carattere “federalista” dello Stato Veneto come prova della sua frammentarietà e debolezza, causa della sua – in larga parte solo presunta – decadenza. E questa “vulgata” la ritroviamo purtroppo ancora presente persino nei programmi scolastici.

E’ probabile che il Commonwealth veneziano, proprio per questa sua natura, si sia trovato in difficoltà con l’emergere tragico dei grandi nazionalismi unitari, che tanto sangue avrebbero sparso.

Modello per l’Italia

Ma questa caratteristica “federalista” dello Stato Veneto andrebbe lodata, adottata a modello nella modernità, invece che seppellita come vetusta e superata causa di decadenza degli Stati. La vasta autonomia concessa nella Serenissima alle città, ai territori, alle province, la libertà di queste di mantenere le Istituzioni della propria tradizione, dovrebbero essere modello per l’Italia, per l’Europa, per il mondo di oggi.

Annessione o Dedizione?

La libertà, l’adesione per scelta, l’ampia autonomia, l’identità rispettata dei popoli, sono medaglie per lo Stato Veneto, motivo d’immenso orgoglio e non già errore di cui pentirsi.

L’errore, al contrario, è l’unità imposta, è la negazione dei diritti fondamentali dei popoli e della loro stessa esistenza come popoli, come fa tuttora l’Italia con il Veneto. Tra l’Annessione e la Dedizione, la differenza è precisamente quel cuore col Leone dentro.

 

Alvise Fontanella

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