12 Dicembre 2024
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Critiche a Cadorna, l’Appello condanna Favero: ma così si negano diritti umani

Mio padre era avvocato, io sono stato cresciuto nel profondo rispetto del difficilissimo mestiere del Giudice, il mestiere più vicino a quello di Dio che l’uomo abbia potuto immaginare. Però ci sono sentenze che mettono a dura prova la mia fede.

La sentenza d’Appello

Come questa sentenza, pronunciata dalla Corte d’Appello di Venezia, che ha confermato la condanna di primo grado, in sede civile, di Michele Favero, segretario di Indipendenza Veneta, per le dure critiche rivolte a Luigi Cadorna, morto quasi cent’anni fa, comandante in capo dell’esercito italiano nella Grande Guerra.

CLICCA QUI: LA SENTENZA INTEGRALE DELLA CORTE D’APPELLO

Tutte le sentenze vanno rispettate, naturalmente. Ma si possono criticare, ed è quello che Serenissima News ritiene giusto fare. Perché questa sentenza, come quella civile di primo grado che viene confermata, applica sì la legge, ma la applica – a noi sembra piuttosto evidente – ad una fattispecie diversa ed estranea a quella che gli articoli del Codice intendono punire, e così facendo nega diritti umani fondamentali, nega ai comuni cittadini la libertà di critica e di manifestazione del pensiero su aspetti essenziali per la stessa democrazia.

Il giudizio storico su personaggi storici e pubblici non può essere trattato alla stregua di una diffamazione tra privati cittadini!

Il giudizio storico non è solo per gli storici

E non si può riservare il diritto di manifestare questo giudizio storico agli storici e ai sedicenti esperti. Esattamente come in democrazia tutti hanno diritto di votare, colti e ignoranti, ricchi e poveri, così tutti hanno diritto a manifestare la propria visione della storia e dei personaggi che l’hanno fatta, e a manifestarla liberamente, non solo nelle sedi e con le modalità accademiche, ma anche al bar, anche al bar di Facebook, per le strade, con le parole rapide, secche e crude del linguaggio comune.

La vicenda

La vicenda è ormai nota: Michele Favero aveva rivolto su Facebook parole pesanti contro il generale Luigi Cadorna, accusandolo di aver mandato al macello centinaia di migliaia di uomini in attacchi frontali praticamente suicidi ed inutili, costringendo le truppe ad uscire allo scoperto sotto pena di venir sparati alle spalle in caso di esitazione, e ricorrendo persino alla decimazione dei reparti in caso di insubordinazione anche lieve.

Michele Favero sul Col Visentin

Non è certo il primo, Michele Favero, a considerare il generale Cadorna un criminale di guerra. Tanto che alcuni anni fa il Comune di Udine, accogliendo il formidabile appello del grande scrittore veneto Ferdinando Camon (CLICCA QUIper leggere l’articolo di Serenissima News) ha tolto il nome di Cadorna da una piazza.

Sentenze opposte e incompatibili tra loro

Ma il nipote di Luigi Cadorna, che si chiama Carlo Cadorna ed è pure lui militare di carriera, ha querelato Michele Favero in sede penale per le offese al nonno e agito contro di lui in sede civile. Con esiti clamorosamente opposti e – per il comune senso della giustizia – incompatibili tra loro: il Tribunale civile di Padova ha condannato Favero a risarcire al nipote di Cadorna un danno calcolato in diecimila euro, più annessi e spese.

Ma lo stesso Tribunale di Padova, in sede penale, ha pochi mesi dopo assolto Favero, archiviando le accuse, non ravvisando alcun reato nella sua condotta e riconoscendo che le critiche, pur pesanti, rivolte al generale Cadorna rientravano nel diritto di manifestazione del pensiero e riguardavano fatti ormai storici, riguardavano le strategie e le direttive del generale nel comando della Grande Guerra, e non già la persona o la famiglia di Cadorna.

CLICCA QUI: ECCO L’ORDINANZA DI ARCHIVIAZIONE DEL TRIBUNALE DI PADOVA

Alla luce del proscioglimento di Favero in sede penale, tra l’altro chiesto dallo stesso pubblico ministero, il comune senso di giustizia si aspettava che l’Appello, al quale Favero era ricorso impugnando la condanna riportata in sede civile, cancellasse quella condanna. Sappiamo tutti, ovviamente, che il rito civile e quello penale sono procedimenti indipendenti, e sappiamo che il ricorso in Appello riguardava la sentenza di condanna in sede civile, e a quella i giudici d’appello si sono attenuti.

Non c’è reato ma il risarcimento si paga

Ma vivaddio se non c’è reato, se i giudizi di Favero contro Cadorna sono riconosciuti legittima manifestazione del pensiero su personaggi pubblici e fatti storici, e quindi diritto costituzionalmente riconosciuto, come è possibile che questi stessi fatti, in sede civile, motivino una condanna al risarcimento? Che Paese è mai questo, in cui due giudici, nello stesso Tribunale, giudicano sostanzialmente gli stessi fatti, sostanzialmente le stesse parole e parolacce usate da Favero contro Cadorna, sia pure ripetute in tempi diversi, e Favero viene assolto dal giudice penale perché non c’è reato, e tuttavia viene condannato in sede civile a pagare un risarcimento al diffamato?

L’Appello e “l’ambito comunicativo”…

Ma c’è, nella sentenza dell’Appello, un passaggio che proprio è duro, durissimo, impossibile da digerire. Lo è per il legale di Favero, l’avvocato Alessio Morosin, e lo è anche per il cittadino comune, quale noi sentiamo di essere: il cittadino che tiene alla forma repubblicana e ai diritti propri di una democrazia. Ed è questo: “Vi è, sul punto, una differenza palese di ambito comunicativo: quello del giudizio negativo riguardante l’operato e le scelte gravemente riprovevoli o immorali che rappresentano valutazioni legittime per la critica storica, e quello del dileggio effettuato con epiteti di animali o di figure criminali come nella fattispecie, che nulla hanno a che vedere con il giudizio sull’operato della persona”.

Cosa intendano i giudici dell’Appello è molto chiaro: sono ammessi, perché legittima espressione del diritto di critica, i giudizi negativi riguardanti le scelte gravemente riprovevoli o immorali del generale Cadorna o di altri personaggi storici, ma non sono ammessi gli insulti, i porchi, le maledizioni, le parolacce.

Diritto di critica solo per professori?

Quando sono in gioco fatti storici complessi come la Grande Guerra, sembrerebbe dunque che per i giudici dell’Appello soltanto gli intellettuali, gli studiosi, i professori, insomma le persone colte e competenti, possano godere del diritto di critica. Perché possono esercitarlo citando le fonti, adeguatamente e pacatamente argomentando in sede storica, con linguaggio accademico elegante, forbito e misurato.

Il normale cittadino, magari non particolarmente competente o ferrato nella materia, o che parli in preda a una forte emozione, o in sede informale, non ha – pare – lo stesso diritto. Neppure se, come nel caso di Favero, avendo un parente caduto nella Grande Guerra, potrebbe anche legittimamente  lasciarsi andare a qualche epiteto nei confronti di chi ritiene abbia determinato la morte del congiunto.

Il professore può, in sede accademica, esercitare una critica storica magari nel corso di conferenze o di scritti ponderosi con note a piè di pagina. Il normale cittadino, parlando al bar di Facebook ad altri normali cittadini, non ha diritto di condensare quella critica storica in una parola secca di uso comune, in una parolaccia, in una maledizione.

Nessun insulto è fuori misura

Nella Grande Guerra sono stati mandati a morire centinaia di migliaia di uomini. E i giudici pretendono di trattare la cosa come se si trattasse di una lite tra contemporanei, in cui le reciproche offese hanno un eguale valore.

Si chiede a Favero di essere misurato, di contenersi, nei suoi giudizi e nelle sue parole. Ma quale insulto, quale anatema può essere considerato fuori misura, quando è rivolto alla persona che il soggetto che pronuncia quegli insulti ritiene colpevole di aver mandato all’inutile massacro centinaia di migliaia di persone?

Questione di libertà

Questa è indubbiamente una questione di libertà. Non difendiamo, ovviamente, il diritto di ingiuriare le persone, né viventi né defunte.

Ma difendiamo il sacrosanto diritto del cittadino qualunque, di esprimere un giudizio storico, anche condensandolo in epiteti ingiuriosi, anche esprimendolo in aspre invettive, su personaggi storici, su protagonisti della storia recente e non recente, senza vedersi pignorare il conto corrente su ricorso dei discendenti del personaggio storico in questione.

Morosin: allora non siamo più liberi

Scrive l’avvocato Alessio Morosin, difensore di Michele Favero, nel ricorso in Appello: “Se così non fosse, significherebbe che non siamo più liberi di scrivere ciò che pensiamo di Hitler, Mussolini, Franco, Stalin, Mao Tse Tung, Tito e di tanti altri personaggi storici che la coscienza e la verità ci impongono di definire criminali”.

Benito_Mussolini nel 1930. Non potremo dunque più parlar male di lui?

E sì, perché anche Mussolini e gli altri hanno dei nipoti, speriamo meno determinati del nipote di Cadorna a difendere il “buon nome” dell’avo. Li avranno, dei parenti, anche Hitler, e Tito, e Stalin e Mao, recordman mondiale di sterminio nel nome del comunismo.

Quante feroci critiche, quanti insulti abbiamo sentito rivolgere al Duce? Quante maledizioni alla ferocia di Tito abbiamo sentito pronunciare dagli esuli, quanti anatemi sono stati indirizzati al Führer dal popolo che voleva sterminare?

Attenti a parlar male di Putin…

Che avremmo dovuto dire, ai parenti degli ebrei spediti nei campi di sterminio, agli esuli d‘Istria e Dalmazia, ai parenti degli antifascisti caduti combattendo per la libertà? Che dovevano contenersi, misurare le parole, altrimenti la Giustizia italiana sarebbe intervenuta a tutelare il buon nome del diffamato?

Cosa dovremmo dire ai tanti ucraini intervistati in questi mesi in trasmissioni televisive? Che devono contenersi, misurare le loro parole contro Putin, perché se il presidente della Russia li querela, dovrebbero pure pagargli un risarcimento? E stiamo parlando di un personaggio storico vivente: tanto più vale nel caso di Favero, che aveva rivolto le sue invettive a un personaggio storico come Cadorna, morto e sepolto da quasi cent’anni.

La raccolta fondi di Raixe Venete

È una questione di libertà e di democrazia. Per questo, Serenissima News invita a partecipare alla raccolta di fondi lanciata da Raixe Venete per sostenere Michele Favero: con la condanna in Appello, la cifra che dovrà versare al nipote di Cadorna supera tra una cosa e l’altra i 30mila euro.

Le offerte vanno versate al Comitato Sostegno Michele Favero e Veneti Perseguitati, sul conto corrente aperto da Raixe Venete che ha il seguente IBAN:

IT72C0306967684510785112647

Non è possibile che in un Paese democratico un cittadino non sia libero di esprimersi nei confronti di un personaggio storico. Non è possibile che i Tribunali pesino le virgole dei termini usati, per decidere si siano abbastanza misurati e contenuti. Non si possono applicare ai giudizi su personaggi pubblici e storici, per i fatti storici e pubblici dei quali furono protagonisti, le stesse tutele che giustamente la legge pone a difesa della onorabilità dei normali e privati cittadini.

 

 

 

 

 

 

 

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