Quello di Napoleone Bonaparte è il primo esempio nella storia di culto della
personalità forgiato dalle forze rivoluzionarie e da queste imposto su dimensione
globale. Il primo esempio e a tutt’oggi insuperato, nonché quello meglio riuscito. Un
mito che in parte resiste ancora, per quanto ammaccato.
Invece gli epigoni del Bonaparte, i dittatori del ‘900, emuli del corso, sono tutti o
quasi archiviati e logori. Tutti relegati oggi nei tremolanti filmati in bianco e nero e
nelle foto ingiallite del loro tempo.

Palazzo Reale (Sala del Trono). Attualmente al Museo di Villa Carlotta a Tremezzo (Como)
dopo i bombardamenti anglo-americani della Seconda Guerra Mondiale.
I modelli del passato prerivoluzionario, da Alessandro Magno a Giulio Cesare, da
Costantino a Carlo Magno (per indicare solo alcuni protagonisti) si fondavano
sull’ammirazione verso personalità assai elevate, che segnarono la storia. Invece
Bonaparte e i molti altri Napoleoni della modernità in formato sedicesimo, di là dalle
loro capacità, sono soprattutto frutto della frenetica esaltazione da parte delle sette.
Interessanti revival recenti che hanno riproposto una propaganda globalista
martellante, ossessiva e penetrante, quale mai in passato, sono state le campagne
vacciniste intimidatorie a proposito del Covid-19; e, ora, la demonizzazione
russofobica. Entrambe prodotte dai circoli occidentalisti e atlantisti, a trazione Usa e
dai gazzettieri corifei della Rivoluzione in tutto il mondo.
La propaganda, arma essenziale della rivoluzione
In realtà la guerra di propaganda è essenziale alle forze rivoluzionarie che governano
il mondo e che si affacciarono sulla scena col 1789 in Francia, poi in tutta Europa con
le guerre napoleoniche. Sia per ingigantire i successi, sia per sminuire o irridere o
ridicolizzare o addirittura negare quelli delle forze legittimiste e della tradizione che
si opponevano e si oppongono al processo distruttivo della Rivoluzione.
La libertà di stampa dei rivoluzionari
Un esempio fra i tanti è Eleonora de Fonseca Pimentel, redattrice del Monitore
Napoletano, al tempo dell’effimera Repubblica Partenopea del 1799: su quel foglio le
armate rivoluzionarie francesi sgominavano sempre gli eserciti austro-russi nel Nord
Italia, anche quando l’intera pianura padana era stata sgombrata della presenza
transalpina.
Non inganni la locuzione libertà di stampa coniata dai rivoluzionari: essa non indica
mai la libertà di stampare, che c’era ben prima della presa di potere da parte della
liberal-massoneria o di altre forze occulte rivoluzionarie, sia pure con le limitazioni
censorie dettate dalla norma morale, esattamente come nel mondo greco-romano e
poi al tempo della Cristianità.
Libertà di stampa indica invece libertà di fare il male, di fiancheggiare e di supportare con la penna, con la voce, in video o sul web la Rivoluzione; che infatti compra e alimenta i suoi gazzettieri non solo con abnormi elargizioni in denaro a fondo perduto, ma anche con premi e onori. Si pensi ai finanziamenti della stampa in passato e oggi attraverso la legge sull’editoria, al canone Rai e al ricorso massiccio ad un mercato pubblicitario di favore.
San Napoleone sulla guglia del Duomo di Milano
Su questo stesso si è ricordato il culto a San Napoleone (QUI l’articolo su Serenissima News) quale mezzo di autoesaltazione del corso, spinta fino alla gloria degli altari già in vita, cosa che, a rigore, impedirebbe ogni canonizzazione. Ma l’incielamento di Bonaparte è avvenuto furbescamente in via indiretta, attraverso questo suo Santo eponimo, il quale, guarda caso però, ha le stesse sembianze del despota di Ajaccio. Culto imposto nel 1806, andando a recuperare la memoria di un oscuro Neopolio, martirizzato ad Alessandria d’Egitto nel 302 e che in epoca cristiana sarebbe stato chiamato Napoleone, ecco che il culto di San Napoleone viene fissato — guarda che caso! — al 15 agosto, genetliaco dell’Imperatore (era nato infatti il 15 agosto 1769).
Surclassando così la tradizionale Festa dell’Assunta, una delle più importanti del mondo cristiano. Ecco quindi che dal 1811 l’effigie di San Napoleone, con l’aspetto del Bonaparte, scolpita da Giuseppe Fabbris, troneggia su una guglia del Duomo di Milano, che fu la città più napoleonica d’Italia, guglia da dove svetta ancor oggi.

Il processo di divinizzazione doveva servire anche a tranquillizzare i cattolici,
ferocemente perseguitati dalla Rivoluzione in Francia come in Italia, mostrando a
tutti i sentimenti devotamente cristiani dell’Imperatore (che aveva fatto deportare due
Papi, Pio VI e Pio VII) e che ricercava un Concordato con la Chiesa.
Con la caduta del Bonaparte e con la Restaurazione della Monarchia borbonica in
Francia, anche il culto politico di San Napoleone veniva archiviato e la sua festa
abrogata dal Re Luigi XVIII, fin dal 1814.
Seconda statua a Napoleone in Duomo: nel 1860…
Ma c’è una seconda statua del tiranno corso nei panni di San Napoleone, questa volta
sul lato esterno (verso il Palazzo Reale) del Duomo di Milano. Come mai? Vediamo
di ricostruirlo.
Con la rivoluzione del 1848 in Francia era stata instaurata la Seconda Repubblica e
un nipote di Napoleone I, Luigi Napoleone, un sovversivo carbonaro, si era fatto
eleggere Presidente; poi, con un colpo di Stato, aveva instaurato il Secondo Impero
(1852-70) proclamandosi Napoleone III.
Il rilancio del culto di San Napoleone
Nel 1859 le truppe francesi entravano in Italia al fianco del Piemonte di Cavour in
guerra con l’Austria Imperiale. Era la Seconda Guerra d’Indipendenza italiana, in
realtà uno dei tanti conflitti fratricidi voluti dai risorgimentali per instaurare un potere
rivoluzionario anticattolico e di matrice liberal-massonica in Italia, liquidando
l’Austria e riprendendo le antiche aspirazioni dei giacobini e dei bonapartisti di
cinquant’anni prima.
Napoleone III aveva rilanciato indirettamente il culto di San Napoleone, caro a suo
zio, sin dal 1852; stabilendo, con un decreto di quell’anno, che il 15 agosto fosse
festa nazionale, in onore del genetliaco del suo avo Napoleone I, più che del Santo
martire alessandrino.
La Lombardia annessa al Piemonte e la seconda statua
L’8 giugno 1859 Napoleone III e Vittorio Emanuele II entravano in Milano, dopo la
vittoria dei coalizzati sugli austriaci a Magenta di pochi giorni prima. E dopo
l’armistizio di Villafranca e il trattato di pace di Zurigo (10 novembre 1859) la
Lombardia veniva formalmente annessa al Piemonte sabaudo, nucleo del futuro
Regno d’Italia.
Nel 1860, in un’Italia già squassata dalle ribellioni fomentate da
Cavour nei Ducati emiliani e nel Granducato di Toscana, per annetterli e dalla
brigantesca spedizione di Garibaldi per impossessarsi del Regno delle Due Sicilie, i
liberali milanesi non trovarono di meglio, per omaggiare i nuovi padroni, che
commissionare una seconda statua a San Napoleone allo scultore Abbondio
Sangiorgio, da collocarsi sul lato sud del Duomo di Milano.
La statua anche stavolta recava la tipica posa superba del Generalissimo corso, anziché l’umiltà e l’amor di Dio che si addicono a un Martire cristiano. Ulteriori dettagli su questa statua possono leggersi, tra gli altri, sul sito dell’Opera del Duomo di Milano (CLICCA QUI per leggere)

prospiciente verso Palazzo Reale. Statua collocata dai liberali risorgimentali nel 1860 per
piaggeria verso Napoleone III, dopo che i francesi alleati dei sabaudi avevano occupato e la
Lombardia, strappandola agli austriaci e annettendola al Regno Subalpino, a seguito della II
Guerra d’Indipendenza.
Politica sul Duomo: c’è pure Mussolini
In età contemporanea la fabbrica del Duomo di Milano si è spesso prestata a dubbie
operazioni di politica culturale, se è vero com’è vero che, fra archetti, guglie e
doccioni medievali con animali mostruosi o fantastici, compaiono ancor oggi un
ritratto del Duce degl’italiani, Benito Mussolini, con tanto di elmetto sulla testa
trasformato poi in turbante; del direttore d’orchestra Arturo Toscanini (la cui
appartenenza massonica avrebbe dovuto consigliare maggiore prudenza); e del
campione del mondo di pugilato nella categoria dei pesi massimi (anno 1933) Primo
Carnera.

Napoleone sulla colonna marciana a Verona

distrutto a martellate e abbattuto dai municipalisti giacobini. Tavola di Francesco Bonanno su
commissione del Comitato per la celebrazione delle Pasque Veronesi.
Qui sotto: Piazza delle Erbe, a Verona, come appariva nella prima metà dell’800, con la
colonna priva del Leone marciano. Stampa a colori del secolo XIX. Disegno e incisione
litografica di Deroy.
Nel 1811, anche nella Verona città martire di Bonaparte e della Rivoluzione francese,
che si era coraggiosamente levata contro i giacobini e i soldati di Francia durante le
celebri Pasque Veronesi (17-25 aprile 1797) in nome della religione violata e del
legittimo Governo Veneto, il Podestà Ignazio Guastaverza aveva proposto al
Consiglio Comunale questa sua bella pensata: perché non collocare una statua a
Napoleone, il massacratore di Verona, sulla colonna marciana di Piazza delle Erbe,
dove un tempo svettava il Leone abbattuto dai giacobini il 6 maggio 1797 e che ora si
presentava vuota e disadorna?
La sconfitta di Napoleone ferma il folle progetto
Per soprammercato, il 17 gennaio 1809, Bonaparte aveva fatto infliggere la pena
capitale per “alto tradimento” e mediante decapitazione proprio in Piazza delle Erbe,
a due ex sudditi veneti, “rei” di aver desiderato la restaurazione della Serenissima: il
56enne Giuseppe Pelizzoni, chirurgo e il 40enne Giovanni Enrico Trieste, avvocato
Solo la catastrofica sconfitta di Napoleone nella spedizione di Russia impedì la
realizzazione del folle progetto. Mentre l’attuale Leone fu collocato il 25 aprile 1886,
giorno di San Marco, con immenso concorso di popolo.
Verona, i giacobini abbattono il Monumento a Venezia
Per non farsi mancare nulla e sempre in odio alla Serenissima, i giacobini nel 1797
avevano anche abbattuto le insegne dei Rettori veneziani e il monumento a Venezia,
innalzato nel 1634 dai veronesi riconoscenti in Piazza Bra, opera dello scultore
bolognese Clemente Molli, specializzato in statue di dimensioni colossali. Più o meno
dove oggi sorge il mastodontico monumento equestre a Vittorio Emanuele II, Re
d’Italia, innalzatogli in Bra il 9 gennaio 1883, opera di Antonio Borghi.

I nomi delle vie, la cancellazione della memoria
Per completare l’opera di cancellazione della memoria, i risorgimentali prima, il
regime fascista poi, metteranno mano all’odonomastica cittadina, sostituendo
un’infinità di vie storiche (Via Nuova, Corso di Castelvecchio, Via al Teatro e molte
altre) con denominazioni prettamente risorgimentali (Mazzini, Cavour, Roma ecc.).
Venezia, Arcole, Rivoli: ancora monumenti napoleonici
Ma il culto della personalità di Bonaparte non si arresta e le sette rivoluzionarie oggi
al potere, eredi dei falsi princìpi del 1789, seguitano nel loro processo eversivo della
Tradizione e dell’identità dei popoli, fidando nella dabbenaggine dei più, essendo il
numero degli stolti infinito, come ricorda il libro dell’Ecclesiaste (1, 15). E sperando
nell’addormentamento delle élites controrivoluzionarie, che sono le sentinelle della
verità e della memoria, nonché il reale antagonista e il più grande pericolo per i
novatori.
2002, Venezia acquista la statua di Napoleone!
Questo sito ha già dato conto dell’ingloriosa vicenda dell’acquisto da Sotheby’s da parte del Comune di Venezia, nel lontano 2002, della colossale statua di Bonaparte Imperatore, in posa da antico romano, scolpita da Domenico Banti e comprata dai comunardi di Palazzo Cavalli per 350mila euro di allora (QUI l’articolo di Serenissima News).
Collocata sulla Piazzetta di San Marco nel giorno del genetliaco dell’Imperatore (15
agosto 1811) per iniziativa della Camera di Commercio di Venezia, la statua era stata
distrutta dagli austriaci e dal popolo veneziano alla Restaurazione, nel 1814.
Nel 2002, un fiume di manifestanti gremì le calli e i campielli veneziani, in segno di
protesta contro il Comune filo-napoleonico, tanto che la statua venne introdotta di
notte e in gran segreto nel Museo Correr, dentro una speciale teca anti-effrazione,
dove si trova tuttora.
L’obelisco di Arcole
Anche i monumenti eretti dal servilismo rivoluzionario a celebrare le vittorie
napoleoniche nelle campagne italiane sono stati quasi tutti abbattuti e non se ne
avverte il rimpianto. L’unico a essersi conservato è l’obelisco di Arcole del 1810, a
ricordo della battaglia del 15-17 novembre 1796 e anche qui l’amministrazione non
smette di pavoneggiarsene, anche se di recente ha inaugurato un museo, nel quale
trovano qualche menzione anche le Pasque Veronesi.
Il mestolo di Rivoli
A Rivoli Veronese, invece no. Lì c’è spazio solo per Bonaparte e per i suoi accoliti,
fino allo sprezzo del ridicolo della ricerca del mestolo da cui bevve il Generale corso
prima della battaglia del 14-15 gennaio 1797, come si è avuto l’ardire di dire in un
recente convegno organizzato con l’Università di Verona.
Piazza Napoleone e sala Massena!
Non solo l’amministrazione rivolese ha intitolato a Napoleone I la piazza antistante il
Municipio e una sala al Generale napoleonico Massena, ma ha persino issato il
tricolore francese sul Comune (dal novembre 2015 al gennaio del 2016) in occasione
degli attentati islamisti a Parigi, neanche fosse un’exclave del territorio transalpino,
annesso alla madrepatria francese, per sbaglio momentaneamente dislocato in
Veneto.

Rivoli, monumento al distruttore della Patria Veneta
A Rivoli si vorrebbe addirittura riedificare il monumento abbattuto dalle truppe
cesaree nel 1814; s’ignorano i molti episodi di brutalità rivoluzionaria e di insorgenza
antifrancese che costellarono il territorio (CLICCA QUI per approfondire); e si freme per innalzare una statua all’Imperatore dei francesi, distruttore della Patria Veneta (QUI lo scoop del sito Pasque Veronesi) a riprova che al provincialismo e alla piaggeria dell’Italietta rinnegatrice del suo grandissimo passato e dei suoi gloriosi Stati preunitari (fra cui la Repubblica Veneta, naturalmente) non c’è limite, né rimedio. Per ora.

intronizzare sul suo territorio, fotografata in lontananza dalla strada. Mentre Verona aspetta
ancora, dal 1797, un monumento ai Martiri delle Pasque Veronesi, Rivoli innalza statue al
tiranno corso, nonché carnefice dello stesso popolo veronese, oltre che distruttore della Patria Veneta.
Bonaparte che risorge come Gesù Cristo
Si potrebbe pensare che questo basti e avanzi. Ma non è così. I tirapiedi della
Rivoluzione e del corso si sono spinti fino a immaginare un’apoteosi del Bonaparte:
semidio, che colloquia con gli dèi dell’Olimpo, in alcune incisioni; superuomo; Santo
di santità preclara, meritevole niente meno che della gloria degli altari (San
Napoleone); ma addirittura Divinità che risorge dalla tomba, come nostro Signore
Gesù Cristo, solo vincitore della morte e salvezza dei cristiani. L’immagine che qui
pubblichiamo è eloquente.

corruzione. Qui sotto:Napoleone risorge ed esce dalla tomba. Acquatinta colorata di Jean-Pierre-Marie Jazet del 1840. Paris. Musée National des Châteaux de Malmaison et Bois-Préau.
Che dire? Che tutto è perduto? No. Dopo l’impressionante numero di profezie di
Santi sui disastri recati dall’empia Rivoluzione di Francia, prima oltralpe e poi qui in
Italia (valga per tutti Sant’Alfonso Maria de’ Liguori) bisogna attendere l’inevitabile
tracollo della Rivoluzione, già preannunziato dalla Santissima Vergine a Fatima nel
1917, nel corso del più importante ciclo mariano della storia, nel quale tutto quanto
previsto si è già realizzato. E nel frattempo non demordere, non transare con
l’ideologia rivoluzionaria, ma perseverare, pregare, agire, combattere, giacché la
vittoria è della verità e “nulla possiamo contro di essa, ma solo in sua difesa” (San
Paolo, II lettera ai Corinzi 13, 8).
Maurizio-G. Ruggiero