12 Dicembre 2024
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Carnevale: ecco le vere fritole veneziane, con tanto di doppio senso

Deboto zè Carneval… Dal 7 gennaio è Carnevale, e si mangiano le fritole. Quella che vi proponiamo qui, naturalmente, è la vera ed originale ricetta delle fritole veneziane, quella che usava mia nonna e che usava la madre di lei, tanti e tanti anni fa.

Rizzardini, il più antico scaleter di Venezia

Non è una ricetta difficile, ma se non avete voglia di lavorare e se siete in zona, il consiglio è di assaggiare le fritole da Rizzardini, la pasticceria vicino a Campo San Polo a Venezia. Sono, a mio personale giudizio di mangiatore di fritole, le migliori. Ma le fritole si fanno, con poche varianti, in tutto il Veneto, in Friuli, in Istria. E ottime pasticcerie ce ne sono dappertutto. L’importante è che rispettino la tradizione.

Il decreto del Doge Pietro Grimani

Rizzardini infatti è il più antico scaleter di Venezia, la bottega ha 300 anni e ci sono carte ufficiali della Serenissima Repubblica che la riguardano: nel 1742 il Doge Pietro Grimani firma un decreto per proibire “la biastema” nella ” botega de scaleter” in Campielo dei Meloni: cioè proprio il locale dei Rizzardini, che da tre secoli è sempre stato una pasticceria. Scaleter, infatti, in lingua veneziana, è l’arte di fare “scalete” cioè i primi, semplici dolci venduti per strada, fatti a cialde sovrapposte.

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E lì naturalmente rispettano rigidamente le tradizioni: non troverete mai, da Rizzardini, fritole prima del 7 gennaio, inizio del Carnevale, né le troverete mai una volta iniziata la Quaresima.

La fritola va fritta. E in lingua veneta

Prima regola: la fritola è fritta. La cottura al forno è un delitto passibile di pene corporali gravissime. La fritola è fritta e goduriosa, non per nulla “fritola” è anche uno dei mille poetici nomi dell’organo femminile. E quando si dice “magnar la fritola” il doppio senso, in lingua veneta, c’è sempre, e mette allegria.

Le non-fritole alla crema

Seconda regola: la moda di farcire la fritola con crema o zabajone è tollerata soltanto se la fritola è la vera fritola veneziana. Le fritole con la crema o con lo zabajone, che si vedono in alcune pasticcerie a fianco di quelle “veneziane sensa gnente”, spesso sono delle non-fritole, cioè non sono fatte con la stessa pasta e la stessa cottura delle fritole. Sono fatte, in pratica, con la tecnica dei bignè, una lavorazione tutta diversa.

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La nonna diceva che la vera fritola veneziana, quella che una volta i “fritoleri” vendevano per le calli, è “sensa gnente” cioè senza crema né zabajone. Però se proprio si vuol strafare, e non si vuol rinunciare alla crema, allora l’usanza originale non è di mettere la crema dentro la fritola, ché le fritole veneziane non sono vuote dentro come i bignè, ma di accompagnare il piatto di fritole con una scodellina piena di crema in cui si intinge la fritola.

Fritole, bussolai e vin navegà

Richiamando così un’altra tradizione illustre delle tavole veneziane, e cioè quella di chiudere invariabilmente i pasti, e soprattutto la cena, con biscotti secchi o anche tocchi di bussolai buranelli, tociài nella crema al mascarpone e accompagnati da un calicetto di “vin navegà“, di vino “navigato” cioè arrivato via mare: vino dolce, vin di Cipro, moscato di Trani, Malvasia o Zibibbo siciliani, Malvasia delle Canarie che ancor oggi, nell’arcipelago spagnolo, chiamano “malvasia venexiana” perché Venezia nel Cinquecento ne deteneva il monopolio.

Fritole, la ricetta di nonna

Bene, torniamo alle fritole veneziane. Ecco la ricetta di nonna, che a sua volta ella aveva imparato da sua madre, molti anni prima che iniziasse il Novecento.

Gli ingredienti sono questi, e sono per otto persone, perché le fritole vanno mangiate in compagnia.

Mezzo chilo di farina 00 oppure 01, un quarto di litro di latte intero fresco, un etto di zucchero semolato (non quello a velo), due uova fresche a temperatura ambiente, la scorza grattuggiata (solo la scorza gialla, non il bianco sotto) di due-tre bei limoni grandi e non trattati, 15-20 grammi di lievito di birra fresco, tre-sei cucchiai di grappa o di rum, due etti abbondanti di uvetta sultanina, volendo anche un etto di pinoli, e l’olio per friggere: la nonna usava olio di arachidi.

Prima cosa, l’uvetta sultanina

La prima cosa da fare è far rinvenire l’uvetta sultanina, mettendola in una scodella piena di acqua tiepida, per un quarto d’ora. Poi asciugatela molto bene. L‘uvetta non ha da essere troppo grande, come usa oggi nei locali di lusso: i chicchi devono essere secchi, scuri e piccoli.

Intanto che l’uvetta rinviene, scaldate anche il latte intero, che dev’essere tiepido e grasso (la nonna lo arricchiva con un po’ di burro perché diceva che il latte intero di oggigiorno non è veramente “intero”), e ci frantumate dentro il lievito di birra, stemperandolo molto bene, e poi qualche bel cucchiaio di farina, sempre mescolando bene, che non faccia grumi. Aggiungete anche il rum o la grappa e mescolate ancora.

Coprite il recipiente e lasciate riposare per un 20-30 minuti, il volume del composto “lievito-latte-farina” deve raddoppiare di volume, quindi usate un recipiente abbondante.

Mescolare ogni volta, co le man

A questo punto versate il composto sulla tavola, fate la “fontana” col buco in centro, aggiungete le uova che avrete prima sbattuto con un pizzico di sale, aggiungete il resto della farina, un po’ più di metà dell’etto di zucchero, la scorza gialla grattuggiata finemente dei limoni e i pinoli se vi piacciono. Questi ingredienti vanno aggiunti in questo ordine, e ogni volta bisogna mescolare bene, co le man, in modo da far assorbire molto bene l’ingrediente precedente prima di aggiungere quello successivo.

Terminata questa operazione, coprite l’impasto con un canovaccio e lasciatelo tranquillo per un’oretta abbondante, in un posto asciutto e non freddo. L’impasto raddoppierà di volume.

La cottura: molto olio e pignata granda

Ed ora, la cottura. Si usa molto olio, e una pignata granda ma più alta che larga, dalle pareti alte, se no vi schizzerà tutta la cucina. L’olio di arachidi deve essere piuttosto caldo, la nonna testava la temperatura buttandoci dentro una goccia d’acqua, che doveva schizzare istantaneamente.

Quando l’olio è molto caldo, con le mani e un cucchiaio unto d’olio la nonna prelevava un pugno di materiale dall’impasto e, con il cucchiaio, lo tuffava nell’olio bollente. Tempo di cottura dai 5 ai 10 minuti, finché la fritola non arriva al suo bel colore dorato.

Attenzione, nella pentola non si devono mai mettere troppe fritole in cottura tutte insieme: nella pentola devono galleggiare l’una accanto all’altra, senza sovrapporsi.

Le fritole veneziane, le megio del mondo

Quando saranno fritte a puntino, sempre col cucchiaio ripescate le fritole dalla pentola e mettetele subito ad asciugare su fogli di carta tipo scottex. Una volta scolate dall’olio, ma ancora molto calde, rotolate le fritole nello zucchero rimasto, in modo che lo zucchero resti attaccato alle fritole.

Queste sono le fritole veneziane, le più buone del mondo. E nella mia gioventù, a Venezia, quando magnando con soddisfazione una fritola si diceva di fronte a una ragazza: “Eh le fritole veneziane xé le megio“, era un complimento, e lei sorrideva.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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