Nella centralissima Largo di Palazzo, cuore pulsante di Napoli, che dopo l’unità d
Italia fu rinominata Piazza del Plebiscito, vi è lo storico Palazzo Reale, costruito nel
1600 dal vicerè spagnolo Fernando Ruiz De Castro, come sede dei rappresentanti del
re di Spagna, per poi divenire sede degli imperatori asburgici e della famiglia reale di
ramo spagnolo dei Borbone fino al 1860.
Dal 1922 grazie all’interessamento del filosofo Benedetto Croce, vi fu trasferita la Biblioteca Nazionale, fondata da Ferdinando I di Borbone nel 1804, con il nome di Reale Biblioteca di Napoli.
Nella Biblioteca una storia affascinante
La biblioteca conserva importanti opere tra cui meritano una citazione l’ Officina dei
Papiri Ercolanensi, raccolte librarie provenienti dalla Reggia di Capodimonte, la
biblioteca dei Gesuiti e delle bibbie cartesiane, manoscritti rari e periodici, una
sezione americana ed una venezuelana, una sezione dedicata alla letteratura
napoletana che comprende tutti i documenti sulla storia e sulla cultura di Napoli e
dell’intero Mezzogiorno.
Ed è in questo suggestivo luogo, ricco di documenti, nella sezione dedicata ai
periodici, che mi sono imbattuta in un’affascinante storia, che fu pubblicata sulla
rivista “ Napoli Nobilissima” fondata nel 1892 da un’idea del poeta Salvatore di
Giacomo. La rivista era dedita alla topografia e all’arte napoletana.
Popoli diversi in una santa alleanza
La storia che mi ha particolarmente affascinata, narra di un tempo lontano, di stati e
popoli diversi, di cavalieri ed eroi, uniti in una santa alleanza che in nome del bene
comune misero da parte le loro differenze o divergenze e si allearono per
combattere ciò che minacciava fortemente le loro libertà.
Racconta di un’impresa valorosa a cui in Napoli, fu dedicata una Piazza, una Chiesa e successivamente un magnifico albergo citato anche dallo scrittore Alexandre Dumas nell’opera “Corricole” (oggi destinato ad abitazione civile).
Piazza della Vittoria: ma è quella di Lepanto
In particolare, l’attuale Piazza Vittoria fu costruita con il nome di Piazza della
Vittoria di Lepanto. Ce ne parla lo scrittore G. Ferrarelli in un suo articolo,
custodito presso la biblioteca Nazionale di Napoli, che rivolgendosi al filosofo
Benedetto Croce inizia la sua narrazione, del quale ne riporto uno stralcio, con
queste parole.
“Se tu hai scritto in questa rivista sulla Villa di Chiaia, raccogliendo con il tuo amore
tante preziose notizie, io prendo la penna per ricordare ciò che mi pare degno di
essere ricordato, a proposito della Piazza della Vittoria. E la Villa e la Piazza entrambe, sono belle; da entrambe si può contemplare il bel golfo e l’incantevole collina di Posillipo.
La Piazza della Vittoria non ha questo nome senza una ragione. Essa lo ha preso dalla chiesa di Santa Maria della Vittoria, che fu eretta per la vittoria di Lepanto. Se è nota la ragione del nome della piazza (la ragione era nota nel 1892, oggi nel 2022 è sconosciuta, si è persa memoria. Esiste solo un nome anonimo Piazza Vittoria. Non si sa di che cosa), è notissima la vittoria navale che ricorda.
L’iniziativa di Papa Pio V
Nella guerra avvenuta, nel secolo XVI, tra i turchi ed i veneziani, le barbarie dei turchi fu tale, che Papa Pio V incitò tutte le potenze cristiane ad una lega. Si collegarono però solo la Spagna e gli Stati Italiani (l’articolo è scritto nel 1892, l’unità d Italia si era già compiuta, pertanto si usavano termini quali Italia ed italiani) navi spagnole, navi del Papa e del duca di Savoia, navi genovesi, veneziane, napoletane e siciliane e che ascesero tra grandi e piccole a 250, comandate da Don Giovanni D’Austria, vinsero a Lepanto, i turchi, nel 7 ottobre 1571.
Lo stendardo dei collegati contro i turchi, mandato dal pontefice, fu dal vicerè di Napoli, Cardinale Granvelle, dato a Don Giovanni nella chiesa di Santa Chiara (Napoli, centro storico).
I napoletani nella Lega
I napoletani, che militavano nella lega, furono, a voler ricordare solo alcuni fra i più
noti: Antonio Carafa duca di Mondragone, G. F. Bisballo di Briatico, i Caracciolo, i
Tuttavilla conti di Sarno, i principi di Sulmona, i Brancaccio, diversi membri della
famiglia Mastrillo di Nola, Gaspare Toraldo che nello spazio di 15 giorni assoldò in
Calabria 2000 fanti, Giovanni D’Avalos quarto fratello del marchese del Vasto che
comandava le navi.
Intorno a loro ha raccolto molte notizie in un suo libro il vostro collega Luigi Conforti. Ma io voglio trascrivere della storia del (Tomaso) Costo, che fu storico contemporaneo, alcuni brani.
“ Quanto in questa battaglia dice il Costo valorosamente s’adoprassero e il Colonna e il Veniero e i principi di Urbino e di Parma, Paolo Orsino, il conte Santofiora, Ascanio della Carnia ed insomma tutti quegli onorati personaggi che vi si trovarono, lunga e superflua cosa dire in questastoria sarebbe, giacché ne son piene tutte le carte.
Gasparo Toraldo, napolitano eroe di San Marco
Ma notabile fu la fazione di D. Gasparo Toraldo, napolitano, il quale trovandosi poco discosto dalla Reale in sulla Pasqualiga che egli avea molto ben presidiata coi suoi calabresi, ed azzuffatosi quella con una delle turchesche, fu egli il primo che, saltato sulla galea nemica, vi piantò lo stendardo di San Marco, rimanendovi ferito di una piccata di fuoco al braccio destro, da quel fatto poi, fu dal Pasqualigo in presenza di molti altri nobili veneziani, pubblicamente lodato.
“Dobbiamo aiutare i veneziani”
La guerra proseguì nel 1572, accorsero molti nobili venturieri – i nostri
volontari – e di napoletani ve ne furono 70, a voler contare solo quelli delle
famiglie nobili notevoli. Non mancarono nobili risoluzioni e nobili fatti. In un
consiglio di guerra, Ferrante Loffredo marchese di Trevico e Antonio Doria
marchese di S. Stefano d’Aveto, uomini di gran giudizio e di molta esperienza
nelle cose di guerra “sostennero che si dovevano aiutare i veneziani” con 22
galee e 5000 soldati napoletani comandati dal Tuttavilla conte di Sarno.
La difesa delle navi veneziane
E insieme a questi partirono da Messina il 7 luglio, Raffaele de Medici Bali di Firenze
con 50 cavalieri e spagnuoli e francesi e tedeschi che ascesero a 3.000. Non
sembrarono sufficienti tali forze, si fecero pure imbarcare ad Otranto 5000 fanti,
comandati da Orazio Acquaviva, figlio del Duca D’Atri. Giunsero a tempo poiché
potettero difendere alcune navi veneziane; attaccate da navi turche, le quali si
salvarono, come dice il (Tomaso) Costo colla solita spareria di fumo per nascondere
la loro ritirata.
Tutte le navi dei collegati si ricongiunsero. Si tentò la presa di Navarino ed il duca D’Atri fu eletto generale dei venturieri. Sbarcarono 13000 fanti con artiglieria. Ferrante Carafa respinse valorosamente un attacco dei turchi e Don Giovanni D’Austria come diceva il Costo restò “invaghito” della bravura dei soldati”.
Popoli alleati per difendere valori e identità
Questa, una parte, della narrazione riportata dal Ferrarelli, per ricordare dal versante
napoletano, quei giorni, che furono a mio avviso, un bell’esempio di unità di fronte ad
un medesimo obiettivo: respingere un’ invasione che avrebbe portato alla privazione
della libertà personale e della libera iniziativa economica, allo sfruttamento delle risorse
umane e territoriali, depauperandole fino a far sfumare gradualmente nel tempo
valori ed identità dei popoli. Dividendo anziché unire.
Avvertita la minaccia, la fede cristiana che li accomunava servì da collante, facendo superare le diversità, caricandoli di “fiducia” nel credere, che la riunione delle forze poteva condurre ad una vittoria e conferendo loro il “coraggio” necessario nell’intraprendere, questa difficile impresa.
La chiesa dedicata a Santa Maria della Vittoria
Poichè fu bella la vittoria di Lepanto, si edificò una chiesa dedicata a Santa Maria
della Vittoria, che rappresenta la vittoria di Cristo per intercessione della madre.
Una prima chiesa con questo titolo fu edificata nel 1573, sulla proprietà del
Marchese di Polignano.
Successivamente la chiesa fu riedificata dalle fondamenta in sostituzione della precedente, intorno al 1628 dalla figlia di Don Giovanni D’Austria chiamasi anche lei Giovanna e poi completata ed abbellita, dopo la sua morte, dalla figlia di lei, Margherita nel 1630.
L’affresco con le galee schierate
La chiesa fu successivamente modificata nella facciata che era rivolta verso il mare.
Bello è l’affresco che si trova sull’altare maggiore, rappresentante la Madonna, con in
mano la palma del vincitore a destra e a sinistra con in braccio il bambino, circondata
da angioli, alcuni dei quali scagliano fulmini sulle galee turche ed altri danno la
palma ai vincitori ed inginocchiati a lei il papa Pio V a sinistra e Don Giovanni
D’Austria a destra. Ancora al di sotto le galee schierate l’una contro le altre a destra e
sinistra appartenenti alle due fazioni avverse.
La Madonna della Vittoria
Papa Pio V nel 1572 a perenne ricordo della Battaglia di Lepanto svoltasi il 7 ottobre
del 1571, istituì la festa della Madonna della Vittoria. Il successore papa Gregorio
XIII la trasformò nella “festa della Madonna del Rosario” perché i cristiani
attribuirono il merito della vittoria alla protezione di Maria, che avevano invocato
recitando la preghiera del rosario prima della battaglia.