Una decina d’anni fa, il Centro Studi Berici di Sosan/Sossano ha avuto la benemerita iniziativa di stampare il corposo diario di Luigi Turatto, sapientemente trascritto da Reginaldo Dal Lago che ne ha curato la significativa introduzione nella quale mette a fuoco l’autore, il contesto storico, i protagonisti dell’epoca, la lingua utilizzata dal Turatto e tanto altro ancora.
L’italianizzazione dei cognomi veneti
Io partirei dall’evidente italianizzazione del cognome del “nostro” protagonista: il cognome Turato con una “ti” sola è relativamente conosciuto, come molto diffuso in tutto il Veneto è il suffisso “ato” per i cognomi; evidentemente qualche ufficiale d’anagrafe (o qualche prete) ha pensato bene di rendere più elegante il cognome aggiungendo una doppia “t”, cosa piuttosto diffusa, d’altra parte, nel secolo scorso quando migliaia e migliaia di cognomi veneti sono stati italianizzati proprio come quello del buon Luigi, aggiungendo qualche doppia, o adattando i nostri cognomi “tronchi” con una vocale finale (Meneghin che diventa Meneghini, Facchin che diventa Facchini eccetera).
L’italianizzazione che continua anche oggi con l’indecente storpiatura dei nostri cognomi che sono ossitoni cioè l’accento va nell’ultima vocale e così Trevisàn diventa per preparatissimi professionisti dell’informazione Trèvisan, Benettòn diventa Bènetton, Cattelàn diventa Càttelan eccetera.
Luigi Turatto di Sosan/Sossano
Luigi Turatto nasce a Sosan/Sossano il 24 settembre 1834 figlio di Angelo e di Maria Bracesco; a battezzarlo è don Luigi Boaretto.
Il piccolo Luigi, come ci ricorda Reginaldo Dal Lago, cresce a in questa comunità del Basso Vicentino che all’epoca aveva 340 famiglie e 1723 abitanti, quasi tutti dediti all’agricoltura o come piccoli proprietari o come fittavoli o braccianti di importanti proprietari terrieri; la famiglia Turatto era alle dipendenze del conti Valmarana.
Sossano – Chiesa parrocchiale di San Michele Arcangelo tratta dal sito colliberici.it
Arruolato nell’esercito austriaco: e va in Crimea
Dopo aver frequentato le tre classi di scuola elementare, e, presumibilmente dato una mano nei lavori in campagna, a vent’anni, nel 1854 viene arruolato nell’esercito austriaco; passa alcuni mesi di addestramento e di marce su e giù per il Trentino e il 17 luglio il suo reggimento parte da Verona alla volta di Sebastopoli, in Crimea, dove anche allora era in corso una guerra fra la Russia e le potenze europee; nel 1855 scoppia una devastante epidemia di colera che lo risparmia.
Luigi rimane negli “Stati Danubiani” come li chiama per altri tre anni e nel maggio del 1858 ottiene il congedo provvisorio e ritorna al paesello per pochi mesi visto che nel febbraio del 1859 viene richiamato in servizio a Vienna, dove iniziano i preparativi che per quella che in Italia viene chiamata seconda guerra d’indipendenza: francesi e piemontesi contro gli austriaci.
Nelle disumane prigioni di Fenestrelle
Ed è così che il buon Luigi si trova con la divisa dell’impero nella battaglia di Magenta, il 4 giugno 1859: rimane ferito, non gravemente, al collo e a una gamba. La battaglia viene vinta dall’esercito francese e nell’inevitabile sbandamento delle truppe austriache Turatto perde il contatto con i suoi commilitoni “Senza a nulla rifletere quello che potria intervenire” e così, a sua insaputa come si dice al giorno d’oggi, si ritrova “desartore”: fatto prigioniero viene incarcerato nelle disumane prigioni di Fenestrelle, nelle Alpi piemontesi.
Carlo Bossoli – La battaglia di Magenta tratta dal sito ilteatrodellamemoria.com
O in prigione, o “volontario” piemontese
Nel frattempo arriva il trattato di Villafranca dell’11 luglio 1859 e Luigi Turatto da Sosàn/Sossano si trova di fronte a un bivio di fondamentale importanza nella sua vita: essere mandato in prigione in Francia o entrare come “volontario” nell’esercito piemontese … ed è così che entra nell’esercito piemontese ma dopo pochi mesi viene congedato; Luigi si trova “senza paga, senza panne, in una parola sunna strada”.
Nella guerra di conquista del Sud
Ma la buona volontà non gli manca e si ritrova a fare “il fachino di piaza, l’ortonano, il frattaggiolo, lo stradino comunale, il sensalle da buoi”.
In seguito tenta di arruolarsi come volontario con Giuseppe Garibaldi che però ha finito i soldi e così ai primi di gennaio del 1860 si arruola nuovamente nell’esercito piemontese quale “volontario di fanteria nella Brigatta Parma, 50 Riggimento, 3 Battalgione, 11 Compagnia Parma” impegnato nella guerra di conquista del Sud Italia (che qualcuno non mi parli di liberazione, per cortesia) e in seguito nelle criminali operazioni contro i patrioti meridionali che tentano di difendere le loro terre e le loro poche cose chiamati dai nazionalisti italiani “briganti”.
La rissa, il carcere e i 100 marenghi d’oro
Nel settembre del 1862 il reggimento è mandato in “conggiedo” e Luigi Turatto si trova nuovamente disoccupato; trova lavoro dopo qualche mese al servizio del signor Sinigaglia, originario di Padova che tiene “osteria e Albergo a Piacenza, Canton Mazzini n° 7”; tutto va bene ma “La cuchagna de Piacenza finisse la vigilia del San Martino 1864” in una rissa che si concluse con la morte di ben sette persone.
Il Sinigaglia venne condannato a “un anno di carcere e a una multa di 300 marenghi d’oro; il Turato a un anno di carcere e a una multa di 100 marenghi d’oro. Monega!”
Finito il carcere, torna a fare il cameriere sempre da Sinigaglia, a Bologna questa volta ed è qui che nella primavera del 1866 scrive che “non si parla altro che di guerra e della alleanza con la Prussia e Litalia per combattere di nuovo Laustria”.
Gli rimproverano la diserzione… dall’Austria
E’ la cosiddetta terza guerra d’indipendenza che il nostro segue da spettatore; l’anno dopo, nel luglio 1867, torna a casa a Sosan/Sossano nell’indifferenza generale, sembra di capire. Qualcuno, anzi, è sempre Reginaldo Dal Lago a sottolinearlo, nostalgico degli austriaci con i quali prima poteva “ligare e disligare” a piacimento lo guarda di traverso e gli rimprovera la diserzione dall’esercito austriaco.
L’anno dopo, 1868, è impiegato al Comune di Sosan come “stradino comunale” e sposa Regina Fioraso, già vedova Bottazzi; il matrimonio vedrà la nascita di un’unica figlia, Isabella.
La pensione da guerra
Nel 1882 lo troviamo ancora dipendente del Comune e percepisce anche una pensione da guerra, che non bastava nemmeno a pagare il consumo delle scarpe per andarla a ritirare, come annota Dal Lago.
Negli ultimi anni di vita Luigi Turatto era un assiduo frequentatore delle osterie della zona e intratteneva gli amici con i racconti della sue avventure.
Muore nel 1904, a settant’anni, nel suo letto.
La lingua: un misto tra italiano e veneto
Un diario, il suo, che merita sicuramente di essere letto, una preziosa testimonianza di un’epoca tumultuosa, di una persona sicuramente dotata di notevole capacità di osservazione (luoghi, persone, situazioni vengono descritte in modo accattivante e significativo), in una lingua che è un misto fra l’italiano e il veneto, senza apostrofi e accenti, con l’acca “buttata” un po’ dove capita, dove emerge un rapporto molto conflittuale con le doppie, e dove, e io che sono nato poco lontano da Sosan lo colgo molto bene, c’è un marcato utilizzo di quella zeta che rende ancor oggi inconfondibile la parlata del Basso Vicentino.
Ettore Beggiato