12 Dicembre 2024
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Il diario di Valentin Alberti oste in Verona e l’arrivo dei “liberatori” napoleonici

Valentino Alberti o meglio Valentin come lui stesso si firma, nasce a San Giovanni Lupatoto (Verona) il 22 marzo 1766 da Francesco e Domenica Manzini. La famiglia di origine non è molto numerosa: si conosce la presenza di una sorella, Francesca, moglie di Domenico Ambrosi, “legator di libri” a Verona, e di un fratello, Luigi, che risulta già morto nel 1821.

L’oste Valentin di Verona

Nel 1792, a 26 anni, Valentin si iscrive nell’arte degli osti e apre bottega in contrada di San Matteo Concortine al n° 698, in parrocchia di Santa Eufemia, in pieno centro a Verona.

Riesce infatti ad affittare ad uso di osteria, ma anche come abitazione, alcune ampie stanze al piano terra ed al primo piano di palazzo Mosconi, in Corte Farina, toponimo che infatti l’Alberti userà comunemente.

Valentin e Teresa avranno un unico figli, Giovanni Domenico, nato il 6 marzo del 1803 e morto dopo soli nove giorni.

Valentin Alberti viene a mancare nei primi mesi del 1834.

Il trascrittore della Raccolta Storica Cronologica

Maurizio Zangarini che ha curato la stampa del volume, nella sua introduzione, scrive che “è indispensabile dedicare qualche riga anche alla figura del trascrittore Giacinto Manganotti, dal momento che il testo della Raccolta andrebbe in realtà ascritto non al solo Alberti ma, appunto, anche al Manganotti, visto che questi, al di là di quanto assicura egli stesso, non si limita ad un semplice lavoro di pedissequa trascrizione, ma interviene nel testo. .. Purtroppo, però, le notizie del Manganotti sono quasi inesistenti.” (1)

Incominciamo allora da questa “Raccolta storica cronologica. Di tutti gli avvenimenti, sì politici, che particolari, accaduti, dalla venuta de’ Galli in Italia, dell’anno 1796. Quoadusque.

L’oste delle 3 corone e il poeta caregaresco

Compilata, e divisa in XII tomi, dall’oste delle 3 Corone Sig. Valentino Alberti, ed or qui fedelmente trascritta, in tre soli volumi; e ridotta a più intelligibil, e chiara lettura, da Giacinto Manganotti, poeta caregaresco, professor di bottanica, scrittore, archivista, bibliotecario, e segretario ab intimis, di esso Sig. Alberti & C. & C.    Volume I     Con indice in fine. In Verona. L’Anno MDCCCXXI.” come sta scritto nella prima pagina dell’opera.

(Il DVD del docufilm edito dal Comitato per la celebrazione delle Pasque Veronesi, completo di un prezioso libriccino ricco di immagini rare e di note storiche puntuali)

L’arrivo del generale Bonaparte

La prima nota riguarda il primo giugno 1796 e Valentin scrive così:

“Oggi sono venuti li Francesi dentro la Porta di San Zen, alle ore quattordici circa. Ha cominciato a venir il suo generale Bonaparte colla sua armata. La prima fu la cavalleria, poi la sua infanteria che ha seguitato quattro giorno; e sono venuti in numero di cinquanta mille, dico 50.000 in circa.

Verona, che allora era piena di Veronesi, era tutta spaventata, perché i suddetti andavano per tutte le contrade; e dove trovavano i portoni dei palazzi avverti, andavano dentro, senza dimandar alli padroni. Poi subito venuti, tutte le donne che trovavano per le strade, se potevano, le conducevano via. Poi la truppa della fanteria e della cavalleria andò parte per la città e parte fuori della Porta.”

L’incendio dei mulini di Parona

Il 29 luglio 1796 annota:

“Il general Bonaparte ha dato ordine alla sua armata d’incendiar i mulini di Parona, in termine di tre ore. Onde i molinari, perché era suonata l’Ave Maria, non sono stati in tempo di salvarli, perché due ore dopo ha cominciato l’incendio. I mulini erano tre.”

Sant’Eufemia, hanno portato via tutto

Particolarmente drammatica la nota relativa al 7 agosto 1796:

“… hanno messo l’ospital nella Chiesa di Sant’Eufemia, mettendo tutti li ammalati francesi parte in convento e parte in Chiesa. Hanno portato via tutto, i santi, le madonne e il Santissimo, in San Simonetto vicino, perché li francesi rovinano tutto(…)

La miracolosa statua di San Nicola

Ma nonostante hanno fatto mille sorte di malanni perché hanno rotto le cantorie, i confessionali, il pulpito, il coro. Era solo la statua di San Nicola da Tolentino sul suo altare, e i francesi volendola distruggere, li gettarono una soga (corda) al collo e si misero in diversi per tirarla abbasso e buttarla in pezzi, ma non fu possibile smuoverla dal suo nicchio. La qual cosa fu miracolosa.

Ed un soldato francese, arrabbiato per questo, dopo tanti sforzi per tirare in terra il santo, non so se con lo schioppo, con bastone o con altro, gli diede tanti colpi: ma tutto fu inutile(…)

Spezzano fin le lastre delle sepolture

I francesi in quella Chiesa hanno fatto di tutto, perché hanno spezzato fino le laste delle sepolture, disturbando anche i poveri morti. Anzi avendone trovato uno vestito di ferro in un sepolcro, con una spada da una parte che erano centinara e centinara di anni che era stato seppellito, hanno portato via anche quello e non si sa che cosa ne abbiano fatto.”

Medaglia commemorativa del bicentenario delle Pasque Veronesi (1797-1997). Ideazione e disegno di Quirino Maestrello su iniziativa del “Comitato per la celebrazione delle Pasque Veronesi” (Collezione Ettore Beggiato).

I francesi mangiano e bevono a sbafo…

L’oste Valentin fa poi una serie di annotazioni sul “vizietto” dei soldati francesi che mangiano e bevono e poi si dimenticano di pagare …

“8 novembre In diversi, cortesemente, mi han mangiato e bevuto per T. 4:10, e poi sono con tutta la buona grazia fuggiti, come cani.”

“3 dicembre – 2 militari cenarono e poi, dimenticandosi di pagare il conto di T. /:%, placidamente se ne andarono in pace. Dio li ammazzi”.

Ogni giorno era così … i “liberatori” mangiavano sempre a sbafo … già ma loro erano arrivati per portare “liberté, egalité, fraternité” …

“Per causa delli giacobini”

“Verona 17 aprile 1797 … Queste rivoluzioni sono nate per causa delli giacobini che sono andati d’accordo coi Francesi per impadronirsi del Stato Veneto. Onde in questa rivoluzion che è nato in Verona saran restati morti circa N. 500 Francesi, perché nel principio i Veronesi non li facean presonèri niente affatto, ma li ammazzava de pianta. Ma dopo un’ora è venuto un ordine del podestà (che era S.E. Contarini) di non più ammazzarli ma farli presonieri, e che i sia condotti in Palazzo Grande e in convento di S. Fermo.”

Il diario ha una parentesi lunga un paio d’anni e Valentin riprende a scrivere un paio d’anni dopo, nell’aprile del 1799.

Paesi rovinati e saccheggiati

Ecco quanto scrive il 5 aprile 1799:

… Onde in questi giorni tutti quei paesi che hanno avuto queste battaglie, sono rovinati e saccheggiati di tutta la robba; che non vi han lasciato niente. Han portato via li bovi, le pecore, i porcini e tutti li altri generi che trovavano ori, arzenti, rami e stagni, biancherie, coverte e abiti; e correvano a portar tutti in ghetto a Verona e vendevano tutto per una miseria, che pareva che la fosse robba robbia”.

I collaborazionisti giacobini

E sul trattamento che i veronesi hanno riservato ai collaborazionisti giacobini si può leggere quanto segue:

“10 aprile 1799 E’ venuto dentro della Porta Nova il conte Giuseppe Riva, che nel tempo dei Francesi era general. Lui era il capo dei giacobini e insieme con lui vi erano anche gli altri due giacobbinoni fratelli Polfranceschi, che erano restati all’Albaro.

“Razza de cani de giacobini”

Ma la forza delli sbirri (che il vicio era Bernardo Vinti) è andata a prenderli. Li ha condutti sino alla Porta Nova in un legno (carro) e poi li ha fatti  desmontar, acciò dovessero caminar a vista di tutto il popolo. Tutta la gente li sputtava nel fronte, con pugni e legnade, sin che sono arrivati alla pigione; criando tutti ad alta voce: marchià, razza de cani de giacobini.

E uno che era zoppo, non potendo darghe colle mani, ha dato  una ferlata (botta) sulla testa al Riva, che li veniva il sangue. E tutti gridavano forte: mangia le papparelle (tagliatelle); perché nei paesi che possedeva lui aveva detto che per Pasqua voleva esser in Verona a mangiar le papparelle con l’armata francese: onde tutti li correva incontro disendo: tò, mangia le papparelle, e gliene buttarono anche nel viso, con pugni, sassate, perché lui diceva alla sua gente che Verona lo chiappava coi pomi, ma non ne ha avuto l’onore.”

Dagli ai giacobini…

E così due giorni dopo:

“12 aprile 1799 Consimili ingresso glorioso in Verona hanno fatto il Maja di Zevio, capo de’ giacobbini, ed un prete da Lazise che si chiama Don Francesco Sacchini e certo Gaetano Basalicà dai Due Castelli, tutti tre giacobini. Tutto il popolo gli correva incontro, dandogli delle sassate e dicendo: dai, dai a quei porchi di giacobini !”

Il saccheggio delle famiglie: prendevano le donne

Ancora una nota, qualche anno dopo, per denunciare le malefatte di quei criminali di francesi …

“Si sente a dir da molte voci di tutti questi paesi di Verona, che quando i Francesi sono passati il Mincio, in tutti quei paesi che andavano, prendevano tutte quelle donne che potevano aver e facevano tutto quello che facea del loro capriccio, tanto se erano maritate o putte; e poi quando hanno passato il fiume Adige a Arcé, vicno a Settimo, dalla parte di Pescantina, ha cominciato a saccheggiar le famiglie di quei paesi.

Nel convento delle moneghe

Portavan via la robba, poi prendean le donne che potevano aver e si discapricciavano a suo modo, tanto con putte e maridade. Cose che fan da pianzer a veder le iniquità che faceano.  E poi quando sono stati li Francesi al paese di Avesa, sono entrati dentro nel convento delle moneghe e hanno fatto quello che hanno voluto lori, perché le han trovate in letto che dormivano; e sono stati dentro in convento per ore otto; onde pensare quello che han fatto a suo cappriccio con le povere moneghe ».

Ettore Beggiato

 

Note

  • Zangarini M., Il diario dell’oste. La raccolta storica cronologica di Valentino Alberti (Verona 1796-1834), Verona 1997

 

 

 

 

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