Quando un amico affronta un esame, una prova difficile, una partita decisiva, l’augurio più frequente è “In bocca al lupo“. Al quale una volta si rispondeva “Crepi” mentre adesso l’ignobile dittatura del politicamente ed ecologicamente corretto impone di rispondere “Viva il lupo”.
Pochi sanno, però, che nell’augurio “in bocca al lupo“, i lupi non c’entrano per nulla, neppure di striscio. C’entrano invece, Venezia, la Serenissima, e le sue navi.
“In bocca al lupo”: augurio, non avvertimento
Dall’Accademia della Crusca alla Treccani, molti dizionari e molti repertori di “modi dire” si sono interessati all’augurio “in bocca al lupo“. E tutti riportano a profusione detti, in uso in mezzo mondo, che citano il lupo e l’ancestrale paura del predatore. Ma sono tutti modi dire in negativo: “andare in bocca al lupo”, “cascare in bocca al lupo”, “guarda che finisci in bocca al lupo” sono avvertimenti, non auguri. Invitano a fuggire un pericolo, non certo ad andarci incontro.
Perché “in bocca al lupo” è indubitabilmente un augurio. E non è, ovviamente, l’augurio di venir mangiato dai lupi. E’ un augurio marinaresco: non c’entra con i lupi, non c’entra con la montagna e le foreste, ma con il mare. Con un mare, in particolare: e cioè l’Adriatico. E con lo Stato che per secoli e secoli ha dominato questo mare, imponendo ai traffici commerciali norme, burocrazie e regole ferree. E questo stato fu la Serenissima.
Le norme della Serenissima
Venezia, lo sappiamo, ha dominato l’Adriatico. E ha legittimato questo potere affermando che, essendo Venezia nata sul mare, il mare era il suo territorio. Il mare, tutto: da Venezia in giù, su entrambe le sponde, fino alle bocche di Otranto. L’Adriatico tutto si chiamava allora Golfo di Venezia, e con questo nome è riportato nelle carte. E tutti i traffici che vi si svolgevano dovevano rispettare le norme imposte dalla Serenissima.
Dagli Asburgo ai Re d’Ungheria, dal Papa al Regno di Napoli, ci hanno provato in molti, per secoli, a contestare il diritto che Venezia si arrogava, di dettar legge sull’intero Adriatico. Il Papa minacciò perfino scomuniche e interdetti, ai quali il grandissimo Paolo Sarpi s’incaricò di rispondere, affermando le ragioni di Venezia.
Le norme fiscali: la tassa a Venezia
In ogni caso, finché la Serenissima fu la Serenissima e c’erano in giro le flotte militari di Venezia, ci fu ben poco da discutere: le leggi veneziane si applicavano e basta.
Tra queste norme, quelle che venivano fatte rispettare con maggior severità erano quelle fiscali. Eccettuati i piccoli cabotaggi locali, le merci trasportate via nave in Adriatico pagavano una tassa a Venezia, che in cambio garantiva la sicurezza dei traffici conducendo operazioni che oggi si chiamerebbero “di polizia internazionale” contro i pirati.
La dichiarazione nella bocca di lupo
Il primo dovere del capitano di una nave, non appena arrivato in porto, era di consegnare un rapporto fiscale, nel quale dichiarava il carico trasportato, affinché si potesse stabilire il dazio da pagare. In ogni porto, vi era un ufficio al quale il capitano doveva consegnare queste carte. Un ufficio aperto sempre, giorno e notte: vi era infatti, sulla facciata, un apposito foro, nel quale il capitano doveva infilare la dichiarazione sul carico, prima di sbarcarne anche solo una piccola parte.
Questi fori sulle facciate sono detti “bocche di lupo“. E “bocca di lupo” si chiamano infatti, ancor oggi, i pertugi ricavati nelle facciate, le prese d’aria dei seminterrati, i fori d’aerazione ricavati a beneficio di cantine o magazzini al piano terra.
Ecco spiegato l’augurio
Ed ecco spiegato l’augurio: quando una nave salpava, l’augurio “in bocca al lupo” era quindi l’augurio di arrivare regolarmente nel porto di destinazione con tutto il carico da dichiarare, avendo quindi evitato naufragi, tempeste e pirati e ogni altra insidia del mare. “Che Dio te scolti” rispondeva il capitano.
L’ipotesi greca
Per dovere d’ufficio, riportiamo anche un’altra possibile etimologia, e anche questa non c’entra con i lupi, ma c’entra con i rapporti solidissimi che Venezia aveva con la Grecia. Perché in Grecia, quando ci si incammina, ci si sente augurare “Enbàine ten àlupon odon“, che letteralmente significa: imbocca vie non pericolose (a-lupon). Chissà quante volte, in Grecia e a Venezia, mercanti veneziani si sono sentiti rivolgere questo augurio da colleghi greci.
E come spesso capita, la parola greca viene storpiata. E’ stato così con il nome di un’isola greca, Skarpanto, da cui deriva il cognome Scarpa. E’ stato così con l’isola greca di Monemvasìa, che significa: un solo porto. E Monemvasìa, che appartenne alla Serenissima, a Venezia era detta Malvasia. E il nome del vino che ancor oggi chiamiamo Malvasia viene da quell’isola e da quella popolare “traduzione” veneziana. E così, forse, avvenne per l’augurio “Enbàine ten àlupon” che poté venir popolarescamente maltradotto con “in bocca al lupo”.
In ogni caso, i lupi non c’entrano. C’entrano Venezia, la Serenissima, le navi, i commerci adriatici. La nostra grande e bellissima storia. In bocca al lupo!