Nel 1509 quasi tutta l’Europa, attraverso la lega di Cambrai, dichiarò guerra alla Serenissima; e dopo la disfatta di Agnadello (14 maggio) la Repubblica Veneta perse quanto aveva conquistato nei secoli precedenti: la Francia occupò la Lombardia Veneta (Crema, Bergamo e Brescia), l’imperatore Massimiliano conquistò le città venete (Verona, Vicenza e Padova), solo il popolo trevigiano rimase fedele a Venezia nel nome di San Marco.
Da lì a poco, il 17 giugno la Serenissima con Andrea Gritti e con l’apporto determinante del popolo padovano riconquista Padova e si prepara a difenderla dal contrattacco dell’Imperatore.
Una delle roccaforti padovane fu il bastione Coalonga (Codalunga) dove venne issato un drappo che, nelle intenzioni degli autori, doveva raffigurare il Leone di San Marco … peccato che l’ignoto artista non fosse particolarmente dotato e così il felino fu ironicamente chiamato “la gatta”.
La gatta venne proditoriamente rubata da un soldato spagnolo, alleato degli imperiali, che ricevette in premio dall’imperatore la bella cifra di 100 scudi e per le truppe spagnole l’opportunità di attaccare per prime il bastione e di essere avvantaggiate nella corsa alla ricompensa promessa dal cardinale Ippolito d’Este, per conto del papa Giulio II, di ben 10.000 scudi d’oro a chi avesse riconquistato per primo la città patavina.
Contro il bastione furono orientati sei grossi mortai e un grande cannone a lunga gittata; gli furono sparati contro circa 1500 proiettili nella sola giornata del 26 settembre 1509.
Nello stesso giorno le truppe spagnole sferrarono l’assalto contro la fortificazione, riuscendo a conquistarla; il capitano Citolo da Perugia aveva sistemato al centro la polveriera e la fece saltare in aria uccidendo centinaia di nemici; questo permise ai padovani di ribaltare la situazione e di respingere l’offensiva delle truppe imperiali e spagnole.
Fu uno dei momenti decisivi per la sopravvivenza dello Stato Veneto; in quella occasione furono scritte diverse canzoni e canzonette; una delle più popolari fu questa conosciuta come “La canzone della gatta” :
Su su su, chi vuol la gata
Vengi innanti al bastione,
Dove in cima d’un lanzone
La vedeti star legata.
Su su su.
Su, Spagnoli, che avantati
‘nanti al sacro imperatore
S’el vi dà de’ soi ducati
Del bastion la gata tóre!
Citol v’è, e da tutt’ore
Se li tien la guarda fata.
Su su su.
Su, Todeschi onti e bisonti,
Su su su, for de la paglia;
Voi mai più passate i monti
Se verete a dar bataglia:
Vostre arme poco taglia
Se la faza v’è mostrata.
Su su su.
Su, Francesi, su, Vasconi,
Che le mure sum per terra,
E la gata cum so’ ongioni
Si vi chiama a questa guerra,
Dove a tuti in questa serra
Morte cruda vi fia data.
Su su su.
Su su, o ladri Ferraresi,
Su, asasini traditori,
Altro è qui che fanti presi
Da spogliare l’armi fori:
Ma per questi et altri errori
Fia Ferrara sachegiata.
Su su su.
Su, bastardi Taliani,
Di canaglie oltramontane,
De Francesi et Alemani
Figlie e moglie sum putane:
Vostre voglie sono insane
A voler con noi la gata.
Su su su.
Su su, o papa, o imperatore,
Su, tu, Franza, su, tu, Spagna,
Portarì il bel’ onore
D’esser stati a la campagna
Col Lion, che sol guadagna
Tanti re, tanta brigata.
Su su su.
Su, se altri è che disponga
De volerla, re o barone,
Vengi for de Coalonga
Della porta sul bastione,
Ch’ivi sta: ma chi è poltrone
Non vi vengi, ch’ela i grata.
Su su su.
Li Spagnuoli la voleano
Pur pigliar con suoi avanti,
Perché mai non credeano
Nostri fosen si bon fanti;
Si che morti tuti quanti
Impiérno i fossi quella fiata.
Su su su.
Venner poi Francesi asai
Con Tedeschi per brancarla,
E di loro alcun fo mai
Che se ardisse di tocarla;
Talché lor senza pigliarla
Fórno morti con gran strata.
Su su su.
Che la voglia questa gata
Non se trovan più persone,
Poiché insieme mai pigliata
Non l’han quattro gran corone;
Di che il mondo sta in sermone
Quanto l’è gagliarda stata.
Su su su.
Già doi mesi sum passati
Che persone centomillia
A la gata intorniati
Volean fare mirabillia;
Chi a piedi, chi a brillia,
De noi tuti far tagliata.
Su su su.
Or partita in la malora
È la cruda e vil canaglia,
Che credea da tutt’ora
A la gata dar travaglia;
Ma sue onge, che arme smaglia,
Morte acerba a molti ha data.
Su su su…
Ettore Beggiato