Due anni fa usciva il mio “1439: galeas per montes. Navi attraverso i monti” che ha avuto un discreto consenso anche in ambienti piuttosto critici nei confronti delle mie ricerche, dei miei lavori.
L’obiettivo del mio libro era quello di portare a conoscenza dei veneti, e non solo, l’impresa straordinaria compiuta dagli uomini della Serenissima e credo di esserci riuscito, almeno in parte, anche se molto resta ancora da fare.
A oltre due anni di distanza, ringraziando tutti coloro che mi hanno dato una mano nella stesura del volume, in particolare Piergiuliano Beltrame, Aldo Rozzi Marin e Matteo Grigoli, mi sembra giusto dare la meritata diffusione alla bellissima prefazione con la quale l’amico Renzo Fogliata ha nobilitato il volumetto: un documento nel quale oltre alla solita straordinaria conoscenza della storia della Serenissima traspare tutta la passione che lo anima.
Ettore Beggiato
La caduta di Costantinopoli
“Il 29 maggio del 1453 si consumò definitivamente uno dei fatti più luttuosi, esiziali e definitivi della Storia della Cristianità: la caduta di Costantinopoli.
Il Sultano Maometto II° – detto, per l’appunto, Il Conquistatore – non solo inverava innumerevoli tremende profezie occidentali ed orientali, cristiane e musulmane, sulla “Città delle città”, ma coronava altresì i sogni di quasi tutti i Sultani ottomani dell’ultimo secolo e mezzo.
Costantino Paleologo e il Bailo veneto Girolamo Minotto
Esattamente come accade oggi, la sorte dell’Impero Greco – rappresentato dal coraggioso ultimo Basileus, Costantino XI Paleologo, perito in battaglia da soldato – fu determinata anche e soprattutto dalle azioni e dalle omissioni delle potenze occidentali, dalle loro influenze e da molti faccendieri europei impegnati, per soldo, dall’una parte e dall’altra.
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Si pensi che mentre molti genovesi combatterono al fianco dei Greci, l’intero quartiere genovese di Pera dichiarò la propria neutralità rimanendo spettatore a guardare il massacro persino dei propri compatrioti.
Per altro verso, mentre il Bailo veneto Girolamo Minotto, sacrificava la propria vita, assieme ad un figlio e ad altri nobili veneti per la difesa della città, l’armata veneta apprendeva della caduta di Costantinopoli mentre sostava a Negroponte (Eubea).
Il cannone gigante
Ma soprattutto, determinante fu un fonditore ungaro-sassone della Transilvania, tale Urban, che dopo aver offerto invano i propri servigi all’imperatore, si pose al soldo del Sultano, fabbricando un pezzo di artiglieria mai visto prima, un mostro devastante capace da solo di mutare le sorti della vicenda poliorcetica.
Questo gigante, di quasi 48 tonnellate, tre metri e mezzo di canna e 90 cm di calibro, scagliava palle di basalto pesanti sei quintali sino ad una distanza di due chilometri, sbriciolando le possenti mura teodosiane. Era stato trainato da 200 uomini e 60 buoi.
E, tuttavia, uomini ed animali furono impegnati anche per altro.
Il venerdì 20 di aprile quattro unità navali, tre genovesi ed una bizantina, cariche di armi e derrate per la città avevano combattuto per ore contro le decine e decine di unità turche che si erano scagliate loro contro, uscendone vittoriose e riparando nel Corno d’Oro; quel braccio di mare che entra in profondità al fianco della città antica, saldamente in mano dei cristiani.
Dal Bosforo al Corno d’Oro
Furibondo, il Sultano ordina un’arditissima operazione militare.
Domenica 22 aprile 1453 le navi, tratte dal Bosforo, sono legate a piattaforme mobili e trainate da buoi e squadre di uomini sulle alture, per approdare al Corno d’Oro. I vogatori muovono i remi nell’aria, le vele sono issate, le bandiere garriscono ed i tamburi rullano accompagnati da pifferi e trombe. Apre la strada una fusta, seguita da una settantina tra biremi, triremi, e parandarie.
La flotta turca spostata via terra
Trascinate su tronchi di legno ingrassati, vengono spostate su terra dal Bosforo al Corno d’Oro, per 4,5 chilometri ed un dislivello di 70 metri, passando dietro al quartiere genovese di Galata.
Un’impresa che, anche se non risolutiva, ebbe un effetto psicologico micidiale sugli assediati, che subito, veneziani in testa, si industriarono per vanificarne gli effetti.
Jacopo Cocco, Gabriele Trevisan e Zaccaria Grioni cercarono invano, alcuni giorni dopo, di incendiare quella flottiglia transitata per il promontorio, ma il tradimento (pare di un genovese) ne determinò il fallimento, con la morte in battaglia di Cocco.
Da quel momento, la flotta turca schierata sotto le mura del Corno d’Oro fu una spina nel fianco dei difensori.
L’impresa veneziana di quindici anni prima
Quale la conclusione? Uno dei fatti più rilevanti della Storia – uno di quei fatti che ne mutano il corso per sempre – era avvenuto anche per il tramite di un’arditissima impresa che all’evidenza emulava quanto accaduto non più di quindici anni prima tra Adige e Garda.
Si possono fare molte ipotesi sulla genesi dell’idea di Maometto II° . L’eco dell’impresa era giunta sino a lui? Qualche traditore italiano presente al tragico fatto d’armi sul Bosforo glielo suggerì?
La fama globale dell’impresa veneta
Non sappiamo. E’ più logico pensare che la fama dell’impresa veneta del 1439 nel mondo di allora fu globale. Certo è che negare l’influenza di quel precedente sulla decisione del Sultano sarebbe cosa azzardata ed illogica.
E vale sottolineare che l’ostacolo orografico superato da Maometto II° fu nulla al confronto delle balze del monte Baldo.
La forza dello Stato Veneto nell’oblio generale
Eppure oggi, come bene rimarca Ettore Beggiato, questa incredibile vicenda bellica è relegata nell’oblio generale.
Eppure essa non appartiene solo alla cosiddetta Storia evenemenziale di braudeliana memoria, quella cioè costituita da noiosi elenchi di fatti, date e nomi.
Essa, al contrario, fornisce una delle innumeri chiavi di lettura per interpretare l’essenza dello Stato Veneto, la sua politica, la sua società, la struttura delle sue istituzioni, la sua forza finanziaria e militare, la sua coesione sociale, il suo progresso tecnologico e culturale, l’ampiezza di prospettiva del suo governo, il grado di consenso dei suoi sudditi.
E, ciò premesso, un fatto d’armi di tale portata e struttura consente poi, quale passo successivo, anche di svolgere ordinati paragoni con le società e le nazioni contemporanee a quella veneta e persino di meditare se l’odierno approdo politico istituzionale del popolo veneto sia in linea con tale passato o sia invece totalmente disassato rispetto ad esso, con marcate note distoniche ed involutive.
La mostra su Francesco Morosini
Perché allora quest’oblio?
Ieri è stata inaugurata a Venezia, a Ca’ Corner Mocenigo, sede della Guardia di Finanza, una mostra dedicata ai 400 anni dalla nascita del Doge e Capitan General da Mar Francesco Morosini, uno dei personaggi più illustri di tutto il XVII secolo europeo.
L’evento è di tale importanza che, al contempo, vi sono altre due esposizione dedicate al Doge: una, documentale, all’archivio di Stato, ed una al Museo Correr, dove è custodita la gran parte dei cimeli che Morosini aveva collezionato in vita e che, fino al 1895, prima di una colossale vendita, erano conservati nel suo palazzo di Santo Stefano.
Ebbene, due annotazioni estremamente significative.
Ci voleva un generale della Finanza romano
La prima. Tutto questo è stato possibile perché fortemente voluto da un Generale di Corpo d’Armata della Guardia di Finanza, romano, innamorato della storia veneta. Senza di lui nessuna istituzione cittadina si sarebbe mai sognata di allestire una celebrazione di tal fatta.
Nemmeno il Correr, scrigno della storia veneta che, negli ultimi anni, è diventato, per volontà della sua dirigenza, una sorta di celebrazione del periodo neoclassico e delle occupazioni francese ed austriaca.
Morosini ignorato nei libri di scuola italiani
La seconda. A fronte di cotante celebrazioni e della posizione strategica che occupano la guerra di Candia e di Morea nel panorama del XVII secolo europeo, nei libri di scuola italiani questo patrimonio è completamente ignorato.
Sfido non solo i poveri studenti, ma anche la stragrande maggioranza degli insegnanti di Storia, persino dei Licei, a metter insieme tre parole sulla figura di Francesco Morosini e sugli eventi mediterranei del XVII secolo.
I nostri figli defraudati dalla scuola pubblica
Ed è contro questa autentica vergogna che si prodiga ancora una volta Ettore Beggiato che, con pubblicazioni tematiche, cerca, spesso riuscendovi, di sottrarre al voluto dimenticatoio pezzi di un immenso patrimonio culturale del quale i nostri figli sono defraudati dalla tanto decantata scuola pubblica che molta parte della politica italiana vorrebbe conservare così com’è, impedendo alle Regioni l’intervento sui piani formativi.
Un delitto culturale, un furto alle generazioni
In altre parole, Francesco Morosini e Galeas per montes dovrebbero continuare a rimanere nell’oblio nel quale sono stati sepolti dall’istruzione pubblica italiana: un’autentica vergogna, un delitto culturale, un furto alle giovani generazioni, un insulto ad un intero popolo.
Basta con questa barbarie culturale
Speriamo che la Storia releghi questa barbarie culturale nell’angolo che merita. Se Dio vorrà che questo avvenga, sarà anche per mezzo dell’instancabile opera di divulgazione di Ettore Beggiato, al quale va tutta la mia gratitudine di veneziano e veneto.
Immergiamoci, dunque, nel paesaggio di selve e monti che videro, con stupore universale, il transito di scafi, prue e poppe, alberi e vele, tra rocce e balze, come in un’atmosfera visionaria, come in una dimensione onirica e frutto invece del geniale ardimento dei nostri Padri.
Viva la Veneta Repubblica! Viva San Marco!”
Renzo Fogliata
1- Venezia – La flotta esce dall’Arsenale
2- Imbocca la foce dell’Adige
3- Verona – Nell’Adige c’è poca acqua e sulle imbarcazioni vengono applicati dei “galleggianti”
4- Mori (Tn) – Il convoglio viene portato in secca attraverso macchinari appositamente costruiti
5- Viene trascinato fino al Lago di Loppio, 230 metri sul livello del mare, poi supera il Passo di San Giovanni, a 264 metri
6 – Torbole (Tn) – Attraverso una discesa molto pericolosa arriva al Lago di Garda.