16 Settembre 2024
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La valle dei Turchi: una storia d’Alpago, Cansiglio e… Lepanto

C’è una valle, in Alpago, una valle selvaggia, isolata, splendida. Sale ripida dal paese di Cornei, su verso il Cansiglio, dopo aver superato un minuscolo borgo di case di pietra che inalbera orgoglioso la propria identità: “Ziot d’Alpago” sta scritto su un cartello non certo ufficiale. E c’è anche la spiega: “Can e gat”. Come dire: non confondeteci con i paesi vicini, noi siamo un’altra cosa.

L’ultimo romanzo di Antonio G. Bortoluzzi, scrittore pagot: Il saldatore del Vajont, Marsilio 2023. Copertina

Quella valle, cantata anche nei bellissimi libri del grande scrittore di montagna Antonio Giacomo Bortoluzzi, che vi è nato, si chiama Valturcana.

Valturcana, la valle dei Turchi?

Valturcana, vuol dire che c’erano i Turchi, no? La valle dei Turchi… Così dicono le leggende locali, e così diceva, da tanti anni, mio padre Federico, veneziano trapiantato in Alpago, che amava risalire quella valle sperduta. Egli pensava alle incursioni turche nel Friuli, e il Friuli è appena di là dei monti dell’Alpago. Ma no papà, sorridevo io, i Turchi non sono mai arrivati fin qui, la Serenissima li fermava prima.

Il tesoro dei Turchi

Per decenni, infatti, gli studi universitari sulla toponomastica dell’Alpago – una tra le più affascinanti della montagna veneta, con toponimi preziosi e misteriosi come Torch, Quers, Chies, Romascienz, Schiucaz – hanno dato torto alle leggende locali, che parlavano perfino di un tesoro sepolto dai Turchi da qualche parte in Valturcana (QUI il link al sito di AlpagoClub che racconta la leggenda).

Secondo gli studiosi, il nome “Turcana” non deriva dai Turchi, ma da una radice preromana, probabilmente la stessa ben rappresentata nella toponomastica locale, nei nomi dei borghi di “Torch” o di “Torres” (che si pronuncia con le vocali chiuse e non c’entra nulla con le torri…) di cui si ignora il significato.

Storia Pagòta

E invece, potrebbe aver ragione la leggenda. La Valturcana sarebbe proprio la valle dei Turchi. È una delle tante storie che si scoprono leggendo lo spettacolare libro di Gianclaudio Da Re, valoroso ricercatore sul campo, già tra gli scopritori di necropoli e villaggi preistorici tra i boschi dello Staol di Curach e Pian de la Gnela, sempre qui, in Alpago.

Gianclaudio Da Re, Storia Pagòta – I registri parrocchiali dal 1556 al 1918 e altre notizie. Copertina

Il volume di Gianclaudio Da Re, Storia Pagòta, è stato costruito mettendo in fila gli antichi registri parrocchiali dell’Alpago, risalendo per centinaia di anni gli alberi genealogici delle famiglie, paese per paese, vita per vita, matrimonio per matrimonio, battesimo per battesimo, morte per morte. Un libro di storia concreta, storia viva delle persone e delle generazioni che si sono avvicendate nel custodire la bellezza di queste valli.

I prigionieri turchi di Lepanto

E in Storia Pagota, affiora anche uno scampolo di storia della Valturcana, che potrebbe essere davvero la valle dei Turchi.

Lo scenario è questo: in quell’ottobre del 1571, le cento galee della Serenissima comandate da Sebastiano Venier tornarono a Venezia portando la notizia del trionfo di Lepanto, la grande vittoria contro i Turchi per celebrare la quale tutte le campane del mondo, da allora, per decreto papale, suonano a festa a mezzogiorno.

Sebastiano Venier nel ritratto di Tintoretto, sullo sfondo la battaglia di Lepanto

Ma sopra e sotto coperta, quelle galee vittoriose che salvarono l’Europa cristiana, portavano anche migliaia e migliaia di prigionieri turchi. Molti furono dispersi, venduti come schiavi in tutta Europa. Ma molti furono utilizzati in altro modo.

Lavori forzati in Cansiglio

E un consistente numero di prigionieri turchi catturati a Lepanto venne destinato ai lavori forzati in Cansiglio. La pena, per loro, era un contrappasso esemplare: dovevano tagliare i tronchi per l’Arsenale, servire la flotta che li aveva vinti. I prigionieri turchi risalirono la valle fino al limitare del Cansiglio, e lì venne stabilita la loro sede.

Cansiglio, veduta in foresta (foto di AnnaEsse5, CC BY-SA4.0)

Chissà per quanti anni i prigionieri turchi lavorarono i tronchi del Cansiglio, sotto le direttive dei Proti dell’Arsenale di Venezia.

Le porte di casa

Ma nelle stagioni morte, nelle quali non si tagliano tronchi perché sarebbero pieni di umida linfa, nelle placide estati dell’Alpago, forse i prigionieri turchi venivano destinati ad altri lavori, ad aiutare le famiglie della valle nei lavori dei campi e delle stalle.

E fu così che pian piano, anno dopo anno, la gente della valle aprì le porte di casa ai prigionieri turchi, che forse non si sentivano più tanto prigionieri.

La prova nel DNA

Non sono finora emersi documenti, le testimonianze di questa fusione non sono nelle carte: ma nella carne degli abitanti, sì. Nella carne dei Pagòt, degli abitanti dell’Alpago, c’è una prova inoppugnabile della lunga permanenza di genti turche nella valle che ancor oggi chiamano Valturcana.

È una prova racchiusa nel DNA, accertata da una ricerca universitaria. Un gene foresto, esotico, raro, diffuso soltanto in una zona che va dall’Anatolia al Turkmenistan, è tuttora massicciamente presente nelle genti della Valturcana e da lì si è diffusa nell’Alpago. Nessun’altra popolazione europea conserva quel gene in percentuali così significative.

Parte di noi…

Quel gene foresto è ormai parte di noi, ancor oggi e per sempre. Ci racconta l’epopea di prigionieri turchi della trionfante Serenissima, prigionieri che da schiavi divennero compagni di lavoro e di fatica, poi ospiti, amici, mariti, da stranieri e nemici divennero pagòt. Alla fine, avevi ragione tu, papà? Valturcana la valle dei Turchi…

Non di bande di turchi predatori discesi dal Friuli o lì diretti carichi d’oro rubato, ma di poveri prigionieri turchi incatenati e sofferenti, la valle dei Turchi vinti a Lepanto e divenuti anche loro, perfino loro, nostri antenati.

 

Alvise Fontanella

 

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