La propaganda dei Savoia, tra mille altre menzogne, ha diffuso la leggenda di un Regno di Napoli profondamente arretrato e infelice, che non aspettava altro che l’avvento dell’Italia unita. In questa menzogna, con la quale si giustificarono perfino – nel nome di una presunta superiore civiltà – i metodi criminali usati dall’esercito italiano per reprimere il cosiddetto brigantaggio, stanno le radici della “questione meridionale“, che nacque con l’Unità d’Italia, esattamente come l’emigrazione di massa dal Veneto. Prima che arrivassero i Savoia, prima di Garibaldi, Napoli era grande e industrializzata, e il Sud camminava di buon passo, alla pari del Nord, sulla via dello sviluppo economico e della modernità.
Carlo di Borbone, la nuova fase del Regno di Napoli
Fu già con l’arrivo sul trono di Napoli di Carlo di Borbone, nel 1734 (QUI il link al Movimento Neoborbonico), che ebbe inizio una nuova fase per l’economia del Regno. La gestione del giovane sovrano fu indirizzata verso un’ equilibrata amministrazione della spesa pubblica, al miglioramento del sistema tributario e statale e ad una saggia politica diplomatica con l’estero. Tutto ciò, insieme alla sua intraprendenza, pose le basi per il miglioramento dell’economia.
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Infatti subito dopo il suo arrivo fu istituito il “Supremo Magistrato di Commercio” che si impegnò soprattutto nella ricerca di nuove iniziative commerciali e l’espansione della vendita dei prodotti verso altri paesi mediterranei, nei problemi inerenti all’occupazione e nell’analisi delle attività già esistenti per migliorare la produzione.
Ferdinando IV e la politica industriale
Suo figlio Ferdinando IV (divenuto I delle due Sicilie dopo il 1816) avviò una
politica di protezione delle industrie nascenti con l’istituzione nel 1800 di una “Giunta
per la migliorazione delle manifatture del Regno”. Per agevolare il commercio, nel
1820 furono poi modificate le tariffe doganali e furono concessi favori e premi a chi
introduceva nuove industrie.
Vi fu un breve regno di Francesco I di Borbone. L’avvento al trono di Ferdinando II,
suo figlio, coincise con l’inizio di un processo più articolato di industrializzazione. Si
aprì in quegli anni il dibattito, sulla necessità delle industrie e delle macchine, sui
rapporti tra industrie ed agricoltura, sull’utilità dell’intervento dello Stato nello
sviluppo industriale.
Il sistema misto pubblico-privato
Prevalse con Ferdinando II intorno alla metà dell’Ottocento l’idea di un sistema misto
tra capitale pubblico e privato, indirizzato, con protezioni ed incentivi. Prevalse la concezione di un’industria considerata necessaria ed utile nella misura in
cui si poneva al servizio dell’uomo. Significativa è una testimonianza documentaria di un politico dell’epoca che si rivolse ”all’Istituto d’ Incoraggiamento alle Scienze Naturali” affinché apportasse tutte le cure necessarie, per constatare quali rami di industria possano prosperare, perché più adatti all’indole dei nostri concittadini, alle loro tendenze ed ai mezzi che ne somministrano il suolo, il clima, l’aria.
La politica paternalistica e protezionistica di Ferdinando II furono le principali
caratteristiche dell’industrializzazione napoletana tra il 1840 e il 1860 che ne
rappresentano i pregi ma forse anche i limiti. Resta nei fatti e nei documenti però, un
lungo elenco di imprenditori e di fabbriche che in questi anni nacquero e si
svilupparono.
L’ottimismo crescente per l’economia
Si diffuse nel Regno un ottimismo crescente per la politica del
governo, che si opponeva con forti dazi all’entrata di merci straniere e sosteneva le
produzioni locali con premi, finanziamenti e privative (una sorta di brevetti) per chi
proponeva invenzioni di novità assoluta e di assoluta utilità. A dimostrazione della
volontà di una maggiore organizzazione e di coordinamento nel 1847 fu istituito un
“Ministero per l’Agricoltura, l’Industria e il Commercio” per il miglioramento di ogni
settore dell’economia. Negli stessi anni furono istituite diverse scuole tecniche, come
la Scuola per macchinisti navali di Pietrarsa, voluta da re Ferdinando II per liberarsi
dalla dipendenza dei macchinisti inglesi o la scuola di Arti e Mestieri.
Contemporaneamente venivano stretti trattati commerciali basati sul principio di
reciprocità con la Russia, i Paesi Bassi, la Danimarca, la Prussia, gli Stati Uniti, il
Piemonte e l’India (nel 1852 fu istituito un consolato napoletano e vi approdò per la
prima volta un nostro bastimento).
L’attrazione di capitali stranieri
Dobbiamo dire in ultimo che l’industrializzazione non era frutto di un’espansione capitalistica come stava avvenendo in altri paesi europei ma per una serie di motivi differenti era il frutto dell’intervento dello Stato, con piccole componenti di capitali agrari e commerciali, il sostegno di banche solide, l’intervento di capitali stranieri che vollero e seppero utilizzare le condizioni vantaggiose che il governo napoletano gli aveva offerto. Grazie alla politica dei nuovi sovrani nacquero o riuscirono a migliorare l’industria metalmeccanica, navale, manifatturiera, delle ceramiche, alimentare ed altro ancora.
(Fonte: Gennaro De Crescenzo, Le industrie del Regno di Napoli, Grimaldi & C. editori, Napoli 2012)