16 Settembre 2024
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Nel 1800 nelle scuole venete si insegnava l’italiano con il “dialetto”

Il paradosso è evidente: mentre da una parte la sinistra ritiene di eliminare le diseguaglianze rifiutando ideologicamente le differenze e agitando lo spettro del “razzismo”, dall’altra assistiamo al ritorno di una certa destra che ancora vorrebbe rivendicare l’esistenza di una asserita “etnia italiana“, una e indivisibile. Una “italianità” che, secondo alcuni, si rileverebbe addirittura con precisi aspetti somatici.

Ecco quindi talune singolari proposte di legge sull’obbligo del’uso della lingua italiana e il divieto di parole straniere. Sì, perché sarebbe in atto un tentativo di cancellazione della cultura “italiana”, qualsiasi cosa voglia dire.

L’improbabile nazione italiana

Eppure, la maggior parte delle opere artistiche e dei beni culturali per i quali l’Italia è famosa nel mondo, è stata prodotta quando lo stato italiano non esisteva. Quando l’Italia era “divisa” in stati e repubbliche e i rispettivi abitanti consideravano stranieri (“foresti”) tutti quelli che si trovavano al di fuori dei loro confini.

Figuriamoci poi il concetto di “nazione italiana“, ancor oggi molto improbabile e difficile da definire a fronte delle evidenti diversità “etno-regionali”.

La cancel culture

Invece, si può rilevare che proprio in nome di questa ideologica “italianità”, con il solito ribaltamento della realtà in stile orwelliano, attraverso il sistema scolastico, sono state effettuate sistematiche operazioni di “cancel culture” nei confronti delle diverse “etnie” presenti nel territorio dello stato italiano comunque a loro modo “resistenti” ancorché spesso ridotte a macchiette folkloristiche. La stessa definizione di “dialetto” ha assunto una valenza denigrante e squalificante rispetto alla lingua ufficiale.

Lo studio scientifico dei “dialetti“, paradossalmente, è stato variamente sostenuto come metodo per insegnare l’italiano nelle scuole elementari a partire dalla seconda metà dell’ottocento da studiosi come Graziadio Isaia Ascoli fino ad arrivare a Lombardo-Radice.

I programmi ministeriali per le scuole

Giuseppe Lombardo-Radice (1879-1938), negli anni 1922-1924, collaboratore diretto del Ministro dell’Istruzione Giovanni Gentile, si occupò della stesura dei programmi ministeriali per le scuole primarie, inserendo, fra le altre materie, anche l’uso delle lingue locali nei testi didattici.

Scuola fascista (Immagine da Centro Stvdi Fascismo)

Il metodo “Dal dialetto alla lingua” di Lombardo-Radice, negli anni seguenti, fu sostanzialmente accantonato perché il fascismo, fortemente impegnato nella costruzione del nuovo cittadino italiano, e, quindi, nella eliminazione di ogni differenza che potesse contraddire questo assunto tanto ideologico quanto artificiale, adottò una politica linguistica chiaramente antidialettale e dialettofoba.

Lo sradicamento delle lingue locali

Si voleva equiparare la pretesa nazione italiana ad una sola lingua attraverso lo sradicamento sistematico dei dialetti. Dopo la seconda guerra mondiale, la reintroduzione dello studio delle lingue locali nelle scuole, qualora realizzata, avrebbe potuto assumere la connotazione di un vero e proprio atto “anti-fascista“. Ma il solco centralista era ormai profondamente tracciato.

Prima di questa fase dialettofoba erano comunque già da tempo in uso testi e dizionari dal dialetto all’italiano corredati di grammatica, declinazioni e verbi, redatti da studiosi e professori e patrocinati da scuole ed università.

Dizionari, il caso Veneto

Ad esempio, nell’ambito veneto, le opere per le scuole elementari di Giulio NazariDizionario Vicentino-Italiano e regole di grammatica ad uso delle scuole elementari di Vicenza, 1876 (CLICCA QUI per consultarlo); Dizionario veneziano-italiano e regole di grammatica ad uso delle scuole elementari di Venezia, 1876 (CLICCA QUI per consultarlo); Parallelo fra il dialetto bellunese rustico e la lingua italiana. Saggio di un metodo d’insegnare la lingua per mezzo dei dialetti nelle scuole elementari d’Italia, 1894 (CLICCA QUI per consultare l’opera).

Nazari, Dizionario Vicentino-italiano, 1876. Copertina

Rimarchevole poi la pubblicazione dei testi della serie Esercizi di traduzione dai dialetti (della Liguria, della Lombardia, della Sicilia, ecc.) edita dalla Paravia negli anni ’20.

Non per insegnare il dialetto

Nelle “Avvertenze per i maestri” di uno di questi testi di può leggere: “Il maestro tenga sempre presente che questi manualetti devono servire non ad insegnare il dialetto, che gli scolari conoscono già perfettamente, ma ad insegnare la lingua per mezzo di esso”.

Questa singolare istruzione per i maestri dell’epoca dimostra, a contrariis, che i vari popoli dell’Italia unificata parlavano correntemente la propria lingua (dialetto) e che, per loro, l’italiano era quasi una specie di idioma straniero.

Lingua è coscienza politica autonomista

Quando un popolo può riscoprire la propria lingua nella dignità di materia scolastica è chiaro che si possono creare le basi per una spontanea e consapevole coscienza politica autonomista. Esattamente il contrario di quello che auspicava la scuola fascista. La proposta di insegnamento delle lingue locali nelle scuole, negli ultimi anni, è stato solo oggetto di banali ed includenti strumentalizzazioni politiche. L’unica vera battaglia politica è quella culturale.

Non si tratta di “diminuire” il sapere degli alunni ma di “aggiungere” cultura. La nostra cultura. Senza inutili conflitti ideologici.

 

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