12 Dicembre 2024
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“Ordo salis. Il contrabbando del sale tra Venezia e l’Austria” nuovo volume dell’istriana Valentina Petaros Jeromela

Il sale è un componente fondamentale della storia della Serenissima: Venezia nacque nelle acque salmastre e fin dai primi secoli sua esistenza il sale e il suo commercio diventano di fondamentale importanza per le fortune della città lagunare.

I veneziani e il sale nel VI secolo

Già  attorno alla metà del VI secolo, Cassiodoro ministro del re ostrogoto Teodorico Il Grande in una lettera ai tribuni si esprime così a proposito dei veneziani:

“Ogni emulazione fra gli abitanti delle isole, sta nel lavorare le saline; invece di aratri e falci fanno girare i cilindri, e da ciò nasce ogni loro frutto, poiché per essi possiedono ciò che non hanno prodotto. All’arte loro è soggetta ogni loro produzione, poiché ben può l’oro esser meno ricercato, ma non v’è alcuno che non desideri il sale.”

Le guerre del sale

E da Chioggia fino a Jesolo le saline rappresentavano una vera ricchezza e per difendere questo patrimonio Venezia non esitò a dichiarare più “guerre del sale” in particolare con Comacchio.

Venezia. I Magazzzini del Sale (foto di Bjoertvedt, licenza CC)

Ancor oggi basta andare lungo le Zattere, a Venezia, per ammirare gli imponenti “Magazzini del Sal” e il “Magistrato al Sal” ebbe un ruolo centrale nell’architettura dello Stato Veneto.

Valentina Petaros Jeromela, di Capodistria

Quanto mai opportuno è quindi il prezioso volume “Ordo salis. Il contrabbando del sale tra Venezia e l’Austria” di Valentina Petaros Jeromela, studiosa di Capodistria (QUI la sua pagina Facebook), laureata in  lettere moderne e con un master in Scienze archivistiche presso l’Archivio di stato di Trieste e autrice di numerose pubblicazioni di carattere storico, tra le quali segnalo “Le antiche famiglie della Serenissima in Dalmazia”.

Contrabbando del sale

Leggendo lo studio della ricercatrice istriana scopriamo che il contrabbando che causava maggior danno alla Repubblica di San Marco era quello del sale di Capodistria, Pirano e Muggia: da qui tutta una serie di disposizioni, alcune delle quali sembrano ai nostri giorni singolari, come quella, e siamo nel 1529, di chiudere con “due chiavi e serradure diverse tutti li magazzeni” e “Una di queste va al Podestà e l’altra a li patroni del sale”.

Il sale di Capodistria e Muggia ai triestini

Gli abitanti di Capodistria e di Muggia avevano anche un’altra grave colpa:

“ne danno grande quantità ai triestini, per esser molto vicini, i quali senza alcun dubbio li navegano dove li piace a danno della Signoria nostra”.

Il contrabbando però rimaneva una piaga dura da debellare perché si svolgeva sia per terra che per mare; così si decise che il dazio doveva essere pagato sia all’entrata che all’uscita, come qualsiasi mercanzia (“anche de Vini”).

Le denunce: secrete, non anonime

Altro provvedimento riguardò le denunce, che erano “secrete” e non “anonime” come sostengono i (tanti) detrattori della Serenissima: chi denunciava il contrabbandiere otteneva l’impunità anche se era complice.

Capodistria – via Calegaria

Con il timbro di San Marco

Altra iniziativa per contrastare il contrabbando è stata quella di istituire il territorio denominato “General Partito de’ Sali” che contrassegnava la vasta regione al di qua del Mincio, compresa Verona dove non si poteva trasportare, vendere, regalare, barattare, immagazzinare il sale ma si doveva acquistare solo nelle caneve autorizzate dai Provveditori che esponevano una stampa con il “timbro di San Marco”:  tutti questi passaggi rivelano l’abilità e la costanza dell’autrice nella ricerca archivistica, dimensione sempre più difficile da riscontrare negli studiosi (e anche negli storici).

Uno studio, un volume veramente molto interessanti che ci fanno capire la centralità dell’oro bianco nella Serenissima, e, ancora una volta l’importanza dell’Istria nell’economia della Repubblica Veneta.

Ettore Beggiato

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