Quanti veneti, e quanti studenti veneti, conoscono la storia esemplare di Domenico Frangini, martire della Serenissima, martire della Fede nell’insurrezione di Verona contro i giacobini e contro l’occupazione napoleonica, l’insorgenza che va sotto il nome di Pasque Veronesi?
Ne ha trattato, recentissimamente, il Comitato per la celebrazione delle Pasque Veronesi, che ha prodotto il docufilm “Le Pasque Veronesi” per la regia di Tommaso Giusto e curato l’edizione di un DVD che contiene il film (con sottotitoli in inglese) e un prezioso volumetto che lo accompagna, ricco di rare immagini e di note storiche.
La storia di padre Domenico Frangini
Domenico Frangini fu un padre cappuccino: nato a Verona nel 1725, aveva pronunciato a 19 anni i voti religiosi in Bassano, prendendo il nome di fra Luigi Maria da Verona. Venne fucilato dai francesi di Napoleone l’8 giugno 1797. La Chiesa lo riconosce Servo di Dio, il “primo grado” della santità.
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Lo arrestarono a Villafranca, dove stava confessando. Erano da poco trascorsi i tragici giorni delle Pasque Veronesi: dal 17 al 25 aprile 1797 l’indomito e fedele popolo di Verona si era ribellato all’occupazione delle truppe napoleoniche e aveva cacciato i francesi dalla città nel nome di San Marco.
I francesi cannoneggiano Verona insorta
I francesi si erano asserragliati nei forti e di lì cannoneggiavano la città insorta che invano aveva chiesto aiuto a Venezia. Dalla capitale della Serenissima giungevano solo inviti a restare tranquilli, a non opporsi ai francesi: era la politica dell’ostinata neutralità che forse mirava a lasciar passare la bufera napoleonica col minor danno possibile, ma che invece fu la causa prima della perdita dello Stato Veneto.
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Quando le truppe di Napoleone ricevettero rinforzi, Verona fu costretta a trattare la resa. I francesi rientrarono in Verona e tradirono l’impegno di rispettare la città che aveva solo combattuto per la Patria: la devastarono, spogliandola di ricchezze, di tesori d’arte, chiudendo conventi e chiese, rubando perfino le collane dagli altari della Madonna, depredando il Monte di Pietà, abbattendo monumenti, bruciando case, uccidendo e violentando, abbandonandosi a ogni genere di violenze.
Saccheggi e fucilazioni, la vendetta di Napoleone
La vendetta di Napoleone e dei giacobini che in Verona stavano dalla parte dell’invasore, fu feroce: gli uomini più in vista, i capi dell’insorgenza antinapoleonica, furono fucilati dopo processi farsa, le loro case furono saccheggiate e distrutte. Perfino il vescovo fu incarcerato, per non aver voluto dare la benedizione all’idolatra albero della libertà. Verona pagò un prezzo di sangue altissimo alla sua fedeltà alla Repubblica Veneta e alla religione dei padri.
I soldati veneti nei campi di sterminio
L’intera guarnigione veneta che aveva fatto nient’altro che il proprio sacro dovere, difendendo la città dall’invasore, e che i francesi nei patti di resa avevano giurato di trattare con onore, fu imprigionata e deportata brutalmente in Francia dopo una terribile marcia della morte attraverso le Alpi, e fu rinchiusa nei primi campi di sterminio della storia moderna: dei 2.700 soldati di San Marco, quando dopo pochi mesi, firmato il trattato di Campoformido, furono aperte le porte, ne tornarono vivi meno di mille.
La denuncia di di padre Frangini
Di fronte a questi orrori, con la città in preda alle orde napoleoniche, padre Frangini, cioè fra Luigi Maria da Verona scrisse una lettera a un confratello, denunciando la barbarie dei “liberatori” e concludendo che i francesi si comportavano “peggio dei cannibali“.
Quella lettera, non si sa come, giunse nelle mani dei francesi. Arrestato, l’ormai vecchio fra Luigi Maria da Verona, al secolo Domenico Frangini, fu portato davanti ai giudici, i quali gli offrirono la possibilità di aver salva la vita, semplicemente giurando che quella lettera non l’aveva scritta lui.
Pena di morte per fucilazione
Ma Domenico Frangini non giurò il falso, ribadì le accuse di barbarie contenute nella lettera, se ne assunse fieramente la paternità, accettò la condanna alla pena di morte per fucilazione e affrontò il martirio in gioiosa serenità.
L’ultima notte: la conversione dell’oste
La notte prima dell’esecuzione, la passò in cella con un oste veronese, Agostino Bianchi il suo nome, anche lui condannato alla fucilazione, che non voleva rassegnarsi e non accettava i sacramenti. Il santo Padre Frangini, quella sua ultima notte, la dedicò alla conversione del suo compagno di cella, lo confessò, lo assolse, lo benedisse e lo confortò fino alla fine. Andò al patibolo a piedi scalzi, disponendo per testamento dei sandali, suo unico bene materiale, e salutò i fedeli dicendo “Arrivederci in cielo”.
Anche la sorte della salma di Domenico Frangini venne funestata a causa di Napoleone: seppellito nella chiesa del convento come tutti i confratelli, ma il convento fu chiuso per editto napoleonico e i frati scacciati via. Uno di questi, però, lasciando il convento, portò con sè a perenne memoria la lapide di Domenico Frangini. E un secolo dopo la salma del frate morto in fama di santità fu recuperata e sepolta con onore nel cimitero monumentale di Verona.
Storia esemplare e lo scandalo di Rivoli
Ditemi voi se la storia esemplare di Domenico Frangini, degna della Legenda Aurea dei santi martiri cristiani, non merita di essere insegnata nelle scuole non solo nel Veronese ma in tutto il Veneto. Ditemi se l’insorgenza dei veronesi, se l’eroismo e il supplizio della Verona fidelis, fedele alla Serenissima e alla Religione fino alla morte, fedele persino nel tradimento della Capitale, non merita di essere celebrato con solennità e ufficialmente, dalle attuali Istituzioni.
Ditemi voi se non è scandaloso che le Autorità del Comune di Rivoli Veronese, che ebbe i suoi martiri nelle Pasque Veronesi, si dedichino oggi a celebrare, invece dei propri Caduti, la figura infame di Napoleone, per combattere il quale quegli eroi, nostri avi, sacrificarono la vita nel nome di San Marco.