Nei (loro) libri di storia ci spiegano che quando Napoleone invase la Repubblica Veneta trovò dappertutto popolazioni festanti che lo accolsero come un liberatore, ballando e cantando attorno all’albero della libertà.
Niente di più falso: ecco cosa è successo a Verona dove per una settimana ci fu una battaglia, nel nome di San Marco, casa per casa contro gli invasori francesi che al grido “liberté, égalité, fraternité” devastarono, rapinarono, violentarono, oltraggiarono la nostra Terra veneta come nessuno mai nella nostra storia.
C’è chi fa il tifo per gli invasori…
Nei (loro) libri storia ci spiegano che l’invasore va sempre combattuto e che chi combatte per difendere la propria Terra e la propria casa merita sempre la solidarietà di tutti …
Peccato che la straordinaria resistenza dei patrioti veronesi contro gli invasori francesi venga sistematicamente messa in cattiva luce, ignorata o, al massimo, ridotta a episodio marginale; e peccato che loro facciano smaccatamente il tifo per gli invasori francesi e non è cosa da poco, visto che sempre loro controllano il mondo culturale e il mondo dell’informazione e che le loro cattedre formano le nuove generazioni di venete e di veneti; per fortuna c’è qualche rara eccezione …
Le Pasque Veronesi (17-25 aprile 1797)
Il racconto del Bevilacqua
Il Bevilacqua ci da l’immagine di quale fosse l’aria che si respirava in città in seguito alle notizie che arrivavano dalla Lombardia veneta e, a pagina 54, scrive:
“Qui a Verona si vede a giungere da Bergamo e da Brescia quantità di Veneti, soldati di cavalleria ed infanteria ed ufficialità, spogli di ogni arnese e montura, a riserva del solo vestito”. E dice che tal vista infiammava i cittadini:
“La nostra città, ferma ne’ suoi principii, si dispone a dar prova della sua fedeltà al Serenissimo Governo Veneto, e por argini a principii tanto scandalosi, osservandosi in questa mattina delli 23 (gennaio) attaccati nelle Piazze e nelle contrade più praticate, molti scritti che palesavano la fedeltà degli abitanti, che dicevano: Verona Fidelis, Viva San Marco e la Serenissima Repubblica Veneta, viva Verona e chi la governa”.
La poesia in piazza dei Signori
E in piazza dei Signori appariva una poesia come questa:
“L’ardire avesti, o Bergamasco insano,
Al Veneto Leon di porre il freno,
E di poi, collegato col Bresciano,
D’oltre già andar non se’ contento appieno
Verona, la fedel, colla sua mano
Resa più forte sotto un ciel sereno,
Saprà fiaccar l’orgoglio tuo perverso,
Dando un esempio a tutto l’Universo.”
Il cartello di casa Perez
E più avanti:
“Ed a questo proposito apparirà eloquentissimo un altro cartello, affisso in quei giorni a le cantonate, scovato dal diligente Perini nella raccolta di casa Perez, e pubblicato poi nell’Archivio storico veronese:
“Al popolo Veronese
Virtù vera e fedeltà costante
Sempre affezionato al suo Principe e fermo ne’ suoi principii, giura di far alta vendetta contro i perturbatori del buon ordine, i rivoltosi e malcontenti. Sappiate, o mostri, che il vostro aborrito nome è registrato, e che cento trenta coltelli son preparati per iscannare altrattanti infami che, mal paghi di soffrire il dolce giogo del Serenissimo nostro Governo, cercano partiti per ribellarsi. Voi poi, Capi di famiglia, vegliate sulla condotta de’ vostri fratelli, figli o nipoii, se non volete vederli sacrificati sotto gli occhi proprii. Nessuno però tema de’ nemici estranei. La città e il Territorio sono pronti alla difesa, e ognuno scargerà il suo sangue per la patria, pel Sovrano e per la buona causa.
Viva San Marco! Viva la Repubblica! Viva Verona!
Pena di vita a chi ardisce levar la presente avanti l’Ave Maria.
V’è chi veglia per ciò.”
Il tradimento alla Messa pasquale
Il giorno di Pasqua, 16 aprile 1797, la situazione in città è piuttosto tesa: i francesi avevano occupato in maniera definitiva la fortezza di Peschiera ammainando la bandiera veneta, a Castelnuovo il conte Perez, da poco rientrato a Verona dall’esilio veneziano intimatogli dal Provveditore Foscarini per i suoi noti sentimenti antifrancesi si era recato con i volontari della Valpolicella alla Messa pasquale senza armi lasciando pochi uomini di guardia, contando sui buoni rapporti con il comandante francese Chevalier con il quale nei giorni precedenti era stata ribadita la neutralità: approfittando di questo i soldati francesi, che definire cialtroni è ancora poco, li disarmano e li derubano di soldi e persino dei vestiti (1).
Il manifesto di Battaia
Nella notte di lunedì 17 viene attaccato nei punti centrali della città un manifesto firmato da Francesco Battaia nel quale si incitava i veronesi alla sollevazione contro i francesi e i collaborazionisti giacobini del posto; il manifesto era chiaramente un falso, opera, si scoprirà poi di un fanatico giacobino milanese, certo Salvadori già pubblicato quindici giorni prima dai giornali giacobini di Milano e di Bologna. (2)
Chiunque conoscesse il Battaia poi, avrebbe escluso categoricamente potesse essere opera di “quella degna persona … l’uomo più colto e più onesto di tutta l’oligarchia veneziana” come lo definì perfino il Beaupoil … colto, onesto e fin troppo remissivo, aggiungo io . (3)
Ecco il testo del manifesto
«Noi Francesco Battaia,
Per la Serenissima Repubblica di Venezia Provveditor Estraordinario in Terra Ferma.
Un fanatico andare di alcuni briganti nemici dell’ordine e delle leggi, eccitò la facile Nazione Bergamasca a divenir ribelle al proprio legittimo Sovrano, ed a stendere un’orda di facinorosi prezzolati in altre città e provincie dello Stato, per sommuovere anche quei popoli.
Contro questi nemici del Principato noi eccitiamo i fedelissimi sudditi a prendere in massa le armi e dissiparli e distruggerli, non dando quartiere e perdono a chichessia, ancorché si rendesse prigioniero, certo che sì tanto gli sarà dal Governo dato mano e assistenza con denaro e truppe Schiavone regolate, che sono già al soldo della Repubblica, e preparate all’incontro.
Non dubiti alcuno dell’esito felice di tale impresa, giacché possiamo assicurare i popoli che l’Armata Austriaca ha inviluppato e completamente battuto i Francesi nel Tirolo e Friuli, e sono in piena ritirata i pochi avanzi di quelle orde sanguinarie e irreligiose, che sotto il pretesto di far la guerra a nemici devastarono paesi e concussero le Nazioni della Repubblica, che gli si è sempre dimostrata amica sincera, neutrale; e vengono perciò i Francesi ad essere impossibilitati di prestar mano e soccorso ai ribelli, anzi aspettiamo il momento favorevole d’impedire la stessa ritirata, alla quale di necessità sono costretti.
Invitiamo inoltre gli stessi Bergamaschi, rimasti fedeli alla Repubblica, e le altre Nazioni a cacciare i Francesi dalla città e castelli, che contro ogni diritto hanno occupato e dirigersi ai Commissari nostri Pico Girolamo Zanchi e Dott. Fisico Pietro Locatelli, per avere le opportune istruzioni e la paga di Lire 4 al giorno per ogni giornata in cui rimanessero in attività.
La città e il territorio sono pronti alla difesa, e ognuno sparga il suo sangue per la Patria, pel sovrano e per la buona causa.
Viva San Marco! Viva la Repubblica! Viva Verona!»
Risse tra veronesi e francesi
Il manifesto contribuì a surriscaldare un’atmosfera già incandescente di suo … nel primo pomeriggio vengono segnalate risse fra veronesi e francesi in diversi punti della città, in particolare nelle osterie di via Cappello e di piazza delle Erbe; praticamente l’insurrezione è già in atto, con diversi tentativi di aggressione ai soldati francesi bloccati anche dai soldati veneti.
L’ordine di bombardare la città
Il comando francese, vista la malparata, decide di inviare 600 soldati in piazza Bra e poi, quasi d’improvviso il generale Baillard diede ordine ai cannonieri di Castel San Pietro di bombardare il centro città.
“I colpi sparati con buona mira , centrarono il palazzo pretorio, facendo precipitare due merli nella sottostante piazza dei Signori. Il fragore dei cannoni e delle pietre crollanti fu il vero segnale dell’insorgenza, perché al primo istintivo moto di terrore subentrò una immediata reazione di furore, nella quale si concentrò in una esplosiva miscela tutta l’esasperazione per le prepotenze e le umiliazioni sofferte nei dieci interminabili mesi di supposta neutralità e di effettiva occupazione” così Francesco Mario Agnoli nel suo fondamentale “Le Pasque Veronesi” a pag.143.
Caccia al soldato francese
Lo storico Enrico Bevilacqua scrive nella sua monografia stampata nel 1897:
“A misura che cresceva il rimbombo delle artiglierie, uscivano gli abitanti dalle proprie case, correvano mal armati ad affrontare le pattuglie francesi, che con le baionette abbassate scorrevano la città, le quali si videro ben presto obbligate a cercare la loro sicurezza dandosi precipitosa fuga verso i castelli” (4)
E’ la caccia al soldato francese: numerosi sono i soldati ammazzati, diversi sono fatti prigionieri, una buona parte trovano rifugio nelle caserme; si aprirono le carceri dove c’erano soldati austriaci che si unirono alla rivolta, le campane a martello continuano a suonare contribuendo a rendere ancor più spettrale il tutto …
Cinquecento francesi morti
Il buon Valentino Alberti, l’oste a le Tre Corone, parla nel suo diario di cinquecento francesi morti in quegli scontri (cifra forse eccessiva secondo altre fonti) e dice:
“Nel principio i Veronesi non li facean presoneri niente affatto, ma i li ammazzava de pianta. Ma dopo un’ora è venuto un ordine del Podestà (che era il Contarini) di non più ammazzarli, ma farli Presonieri”.
Verona – Via Mazzanti
Non si sentiva che un continuo gridare Viva San Marco
E sempre il Bevilacqua, a pagina 115, cita un testimone oculare dei fatti il cosiddetto Anonimo 2095 (dal numero d’ordine attributo al manoscritto nella Biblioteca comunale di Verona).
“Non si sentiva altro che un continuo gridare per ogni angolo della città Viva San Marco e guai ai nostri stessi che non avessero corrisposto gridando Viva S. Marco; erano certi che correvano la sorte dei nostri nemici; come pur troppo ad alcuno dei nostri ciò avvenne, mentre fu ucciso per sospetto di aderente. Tanta era la furia, l’impeto, la collera, l’odio che si era acceso contro questa gente, che più non si conosceva ragione, né pietà, né religione.
Le strade tutte erano piene di feriti e di morti, e tanto era l’infiammato trasporto, che mi fu riferito che sino erano stati veduti giovanetti, ragazzi con cortelli inveire contro i cadaveri morti di Francesi. Intanto seguiva il castello a cannonare la città, e dalle venti e una ora, che aveva cominciato il cannonamento, non si fermò dal far fuoco che solo alle 23 e mezzo della sera.
I cittadini veronesi infuriati
Credevano i Francesi con questo mezzo di atterrire gl’infuriati cittadini, ma quanto più essi erano impegnati a battere la città con questo insultante modo, tanto più inferocita la gente proseguiva a tener dietro e perseverare per istrade e per cortili i Francesi e persino armata mano si introducevano nelle case, esaminando ogni angolo, ogni ripostiglio, per vedere se mai vi fossero nascosti; oppure per iscoprire se mai vi si trovassero loro robba, vestimenti, mobilie ed altra qualunque cosa, seco trasportandola, e da’ più onorati e galantuomini ponendola in deposito in luogo sicuro.”
L’assordante rumore dei cannoneggiamenti fece riportare in città il Provveditore Francesco Emilei che conquistò facilmente porta San Zeno; Porta Vescovo fu facilmente conquistata dal capitano Coldogno, mentre il conte Nogarola ebbe maggiori difficoltà a impadronirsi di porta San Giorgio dove ci fu un combattimento particolarmente sanguinoso; va sottolineato che in mattinata i francesi avevano raddoppiato il numero dei soldati consci che la situazione poteva esplodere da un momento all’altro, come in effetti successe; Emilei che comandava 2.500 volontari delle cernide e circa 600 soldati, spostò i suoi uomini fuori Porta Nuova per impedire la fuga dei francesi presso il bastione dei Riformati (5).
La tregua
Più tardi partì per Venezia per chiedere aiuto alla Capitale, e con il senno di poi, non solo perse del tempo prezioso, ma lasciando la città in mano ai rappresentanti del governo veneto in città Bartolomeo Giuliari e Alvise Contarini del tutto inadeguati a svolgere un ruolo così determinante; gli altri uomini di peso e di carisma, come il Maffei, erano impegnati fuori città con l’esercito e il conte Augusto Verità, “un uomo i cui talenti ispiravano sufficiente fiducia e il cui nome suonava abbastanza autorevole per imporsi, per farsi accettare da tutti” come scrive sempre l’Agnoli era a Bassano.
Così si arrivò a una tregua, furono fermate le campane a martello e il generale Baillard fece interrompere i bombardamenti; ed ecco come il Bevilacqua racconta quelle ore, citando ancora l’Anonimo 2095 (6).
E intanto Napoleone firmava il trattato di Leoben
“Durante sì lungo scambio di trattative fra il palazzo e il castello, per tutta quella notte spaventosa, la città parve un mare in burrasca. – Un’orribile anarchia regnò in tutta questa notte. Le pattuglie s’erano sciolte e tutte le forze erano disunite. I chi-va-là erano continui e senza ragione, e chi non rispondeva Viva San Marco veniva minacciato e riputato partigiano francese” e più avanti lo stesso autore cita il De Medici: “Tutta la città era grandemente illuminata, e scorreano per ogni dove pattuglie civiche che gridavano Viva San Marco, cui ognuno che passava doveva rispondere lo stesso, e facevano nelle case diligenti perquisizioni, se alcun francese vi si trovasse nascosto.
Mentre i veronesi combattevano per difendere la loro casa, la loro città, la loro Repubblica nel nome di San Marco, nelle stesse ore il 17 aprile Napoleone firmava con l’Austria, a Leoben nella Stiria, un trattato contenente una serie di clausole segrete con il quale gli Asburgo cedevano a Parigi i Paesi Bassi e la Lombardia in cambio dei territori della Serenissima.
La delusione di Ugo Foscolo: ha venduto Venezia
Qualche anno più tardi Ugo Foscolo scriverà così nelle “Ultime lettere di Jacopo Ortis” la sua profonda delusione nei confronti del rapinatore francese:
“Moltissimi intanto si fidano nel Giovine Eroe nato di sangue italiano; nato dove si parla il nostro idioma. Io da un animo basso e crudele, non m’aspetterò mai cosa utile ed alta per noi. Che importa ch’abbia il vigore e il fremito del leone, se ha la mente volpina, e se ne compiace? Sì; basso e crudele – né gli epiteti sono esagerati. A che non ha egli venduto Venezia con aperta e generosa ferocia?”
Delusione, rincrescimento, odio che saranno presenti in tanta gente che anche nella nostra Terra aveva seguito le imprese del tiranno d’oltr’alpe; sono “sorprese” da mettere in conto quanto si abbandona la strada tracciata dai Padri, quando si abbracciano avventurieri che calpestano secoli e secoli di storia patria, secoli e secoli nei quali il Leone di San Marco si era conquistato il rispetto di tutti; e a differenza di Jacopo Ortis, il famigerato Napoleone continua a suscitare sia nel Veneto che in Italia una spropositata ammirazione…
I francesi ritornano a bombardare la città
La giornata di martedì 18 incominciò con la notizia che i governatori veneti Iseppo Giovannelli e Alvise Contarini erano partiti in direzione Vicenza: potete immaginare come appresero la cosa gli insorgenti veronesi; i francesi, appena scaduta la tregua ritornarono a bombardare dai forti di San Felice e San Pietro, puntando soprattutto a fiaccare l’assedio degli insorti a Castelvecchio nei pressi del quale, nel frattempo, era giunto il conte Augusto Verità che si era messo alla testa di un gruppo di austriaci liberati dalle galere francesi.
Dopo un ulteriore bombardamento dei patrioti veronesi, i francesi assediati scelsero ancora una volta la via cialtronesca fingendo di uscire con una bandiera bianca e quando gli uomini del capitano Rubbi si avvicinarono per trattare furono massacrati a colpi di cannone … segnatevi il nome, l’Agnoli dice che il criminale autore del misfatto fu un certo Carrère …
L’arrivo degli austriaci
Nel pomeriggio giunse in città il colonnello austriaco Adam Neipperg con un drappello di ussari austriaci e fu immediatamente salutato con entusiasmo dai veronesi, convinti di trovarselo al loro fianco: “Non si potrebbe descrivere l’entusiasmo e l’ebbrezza di quegli istanti solenni ad un tempo e fatali: uomini e donne, giovani e vecchi, e poveri e ricchi, apparivano invasi dalla stessa vertigine e gli evviva a Verona, agli austriaci e a San Marco, prorompendo da mille petti ad un tempo, alternati salivano con insolito fragore alle stelle” (7)
Ben presto l’entusiasmo sparì quando il colonnello Neipperg comunicò ai veronesi che era giunto in città per comunicare al Baillard del trattato franco-austriaco di Leoben e che quindi doveva rimanere neutrale … se non altro la presenza degli austriaci fece scattare una tregua dei bombardamenti …
Dalla Capitale non c’è da aspettarsi nulla
Tregua che durò anche la mattina di mercoledì 19 vista la presenza degli austriaci in città; nel frattempo è tornato da Venezia Francesco Emilei, sconsolato dal trattamento ricevuto in una Capitale dalla quale non c’è da aspettarsi nulla; ritorna a Verona anche il duo Contarini-Giovannelli che riprende le trattative con il generale Baillard.
Il francese incredibilmente, afferma che i transalpini sono pronti ad andarsene dalla città subito dopo il disarmo degli insorgenti, ma dopo quanto avvenuto a Castelvecchio con la vigliaccata di Carrère non gli crede nessuno …
Cattive notizie
In questa stessa giornata arrivano cattive notizie dalla provincia: il conte Ernesto Bevilacqua viene sconfitto a Legnago mentre la colonna affidata a Marcantonio Miniscalchi veniva bloccata a Bardolino; rimanevano le truppe di Antonio Maffei (900 fanti e 100 cavalleggeri e pochi cannoni) in attesa a Sommacampagna e affidate al tenente colonnello Giacomo Ferro dal Maffei stesso rientrato in città per ricevere istruzioni.
Combattimenti a Castelvecchio
Nel pomeriggio vengono segnalati più scontri, come quello citato dall’Anonimo 2095 nel quale diversi soldati francesi uscirono dal Castelvecchio per dare fuoco ai palazzi Liorsi e Perez ma “nulla di meno i nostri non lasciarono in pace gli aggressori, ma li investirono e combatterono virilmente a segno, che gli serrarono i passi in modo, che non potendo rientrare ad un tratto, come erano usciti, entro il castello, tra la confusione e il timore, e per la furiosa scarica di fucili che gli piombava addosso, la maggior parte di loro rimase trucidata; cosicché al più cinque o sei ebbero la buona sorte di potere salvarsi in castello”.
Un altro autore, il Solinas, scrive che un gruppo di cittadini armati diretti in centro furono fatti bersaglio di colpi da un gruppo di soldati francesi che avevano occupato il lazzaretto di Sanmicheli: i patrioti marcheschi abbatterono le porte e massacrarono i sei soldati che si trovavano all’interno. ( 8)
Bombe, incendi, saccheggi e rovine
La notte fra mercoledì 19 e il 20 aprile fu così ben descritta dal De Medici:
“Notte più travagliosa di questa forse non fu mai, al mio credere, in tutto il lungo corso di queste guerriere vicende. Tuonavano incessantemente i castelli del monte colle artiglierie, e quel piano colla moschetteria; il tetro suono di tutte le campane teneva in vigile guardia di sé stessi e dei posti che custodivano i cittadini. Le voci e le grida di chi chiamava aiuto di gente e volea aperte tutte le porte delle case, per un pronto ritiro in caso di sortita, empiva di confusione e spavento tutte le contrade. Fecero in questa notte i Francesi di Castel Vecchio una sortita verso Campagnola, e malgrado gli sforzi che fecero i villani comandati dal Conte Perez per respingerli, commisero incendi, saccheggi e rovine per quelle vicine case. Le palle dei fulminanti castelli del monte avean già recate non piccole rovine in vari luoghi della città, ed in tre contrade si vedeano fumanti li tetti di alcune case, per le bombe cadutevi.
Umanità dei Veneti, ferocia dei Francesi
Invano a frenare alquanto l’impeto ostile dei repubblicani, minacciò il popolo di fucilare un dato numero di prigionieri sotto gli stessi loro occhi per cadauna bomba cadesse in loro danno, ché la umanità dei Veneti Rappresentanti e li riguardi che si voleano ancora avere per li Francesi impedirono questa vendetta crudele, e lasciarono ai nemici il campo libero di nuocere ai cittadini” (9) già, ancora una volta si sottolinea la umanità dei Veneti Rappresentanti che impedisce una vendetta crudele, gli infami soldati francesi, invece, continuano a “nuocere ai cittadini” …
L’ultima vittoria del Leone di San Marco
Da segnalare quella che F.M. Agnoli chiama “l’ultima vittoria dell’alato leone di San Marco”: il colonnello Ferro verso mezzogiorno aveva impegnato il suo piccolo esercito (500 fanti del 4° reggimento Treviso, comandati dal capitano Antonio Paravia che ha lasciato un dettagliato racconto della battaglia, 400 schiavoni, 250 cavalleggeri, 8 cannoni) supportato da circa quattromila volontari, in un attacco alla Croce Bianca riuscì ad avere la meglio sulla truppa francese comandati da Chabran, resistendo in seguito al violento contrattacco francese.
Arrivano i volontari dell’Altopiano dei Sette Comuni
Il giorno dopo, venerdì 21, si registra il passaggio dell’Adige delle truppe francesi guidate dal generale milanese Giuseppe Lahoz è il preludio della sconfitta, ormai la superiorità delle truppe francesi è schiacciante; la nostra gente però continua negli assalti a Castelvecchio e l’arrivo da Vicenza di 400 soldati regolari e di un migliaio di volontari delle cernide dell’Altopiano dei Sette Comuni comandate dal provveditore straordinario di Vicenza Andrea Erizzo, “soggetto ripieno di talenti, di fermezza, e di veritiero Patriottico zelo”; il Solinas ci ricorda però che ormai la città è circondata da ben 15.000 soldati francesi.
La risposta del Senato Veneto
La giornata di sabato 22 incominciò con le solite scaramucce, in particolare verso il Castelvecchio, il puntuale “Anonimo 2095” ci ricorda che i soldati francesi intimoriti “dalle balle che gli cadevano sopra, non sapendo più quasi come salvarsi, alcuni per lo ponte interno si fuggirono in Campagnola, altri disperati si gettarono nell’Adige, sperando di potere guazzarlo, e sull’altra riva assicurare la loro vita; ma per lo più restarono, per la ridondanza delle acque, a quelle in mezzo affogati”, quando arrivò da Venezia il documento del Senato Veneto che finalmente rispondeva alle pressanti sollecitazioni dei veronesi, auspicando la loro resa; eccolo il testo.
Eroismo dei Veronesi, arzigogoli da Venezia
“Al vivo rincrescimento che risente il Senato nell’intendere dal diligente dispaccio vostro continuate le gravi disgrazie da cui sono afflitti codesti amatissimi abitanti, si aggiunge il riscontro dell’inutilità del colloquio da voi, N.H. Giovanelli, avuto con codesti Comandanti Francesi.
Nel rimarcare però a distinto vostro merito il costante fervore ed impegno, che sebben esposti a più pericolosi azzardi non lasciate di esercitare, il Senato non può abbandonar la fiducia, che per effetto della continuazione delle pratiche, con ottime viste da voi istituite, e dalla zelante comparsa del N.H. Provv. Estr. Erizzo, vi riesca di allontanare da codesta fedelissima città le maggiori disgrazie che ad essa fatalmente sovrastano.
Quindi nella maggior impazienza de’ vostri riscontri, ed in mezzo alla somma agitazione che ci perturba in vista dell’estremità, dalle quali si scorge la stessa Città minacciata, sarà in faccia al senato medesimo il più grato uffizio quello che dalla benemerita opera di tutti tre possano sorgere espedienti capaci di allontanare la temuta desolazione di codesti amatissimi Abitanti e di rimetter le cose ad un tranquillo sistema, al quale essenzialissimo oggetto ci assicuriamo che saranno costantemente rivolte le prudenti vostre discrezioni.
Ad opportuno vostro lume poi vi annettiamo copia delle Lettere del Luogotenente di Udine del giorno d’oggi, dalle quali risulterà la consolante notizia di essere stata, sin dai 10 del corrente mese, segnata la pace” .(11)
Una risposta che impressiona: tanto eroico è il comportamento dei fedelissimi marcheschi di Verona, tanto vacua e arzigogolata è la risposta che arriva da Venezia.
Non rimaneva che la resa
Ormai era chiaro a tutti che non rimaneva che la resa; ecco come Antonio Maffei ricostruisce quelle ore:
“Molti ufficiali Veneti uscirono e così influenzati dalle Venete Cariche, scorsero le contrade tutte di Verona proclamando una tregua conclusa, ed esortando tutti gli abitanti a desistere da qualunque atto di ostilità, poiché trattavasi di pace, né tardarono i migliori tra i cittadini ad unirsi a loro onde calmare il popolo, infruttuosi non furono i loro consigli e la moltitudine si lasciò persuadere dalle voci della ragione e delle necessità: paga di non abbandonare i suoi posti di difesa, vi si tenne tranquilla, e non tirò più un colpo di cannone o di fucile.
Così ebbe fine una battaglia, la quale principata entro le nostre mura alle ore ventuna italiane del giorno 17 aprile era durata senza interruzione sino presso alle ore parimenti ventuna del giorno 23. Allo strepito delle armi, al clamore delle voci, al movimento continuo di una numerosa popolazione, successero un cupo silenzio, un nesto riposo, una ferale immobilità”. (12) .
La richiesta di armistizio
Verso sera il governatore Giovanelli convoca una riunione aperta a tutte le autorità, a partire dal provveditore Erizzo e dal generale Stratico che durò tutta la notte e nella quale emerse la drammatica situazione e l’impari lotta e così, alle prime ore di domenica 23, si inviò un messaggio al Baillard nel quale si chiedeva un armistizio di 24 ore, che fu concesso fino al mezzogiorno della giornata seguente, quando una delegazione composta da Rocco Sanfermo, dal tenente Scotti, dal provveditore di Comune Emilei, e dal dottor Garavetta si portò al Castel San Felice con una proposta di pace di otto punti, per la verità fin troppo … ottimistica.
Le condizioni della resa
E fu così che appena Emilei tento di leggere la proposta fu brutalmente interrotto dal Baillard con un perentorio “Non a’ veneziani, ma toccare a’ francesi lo stabilire e dettare le norme ed i patti della resa” e trasmise la sua volontà, mettendo in chiaro che era la sola che poteva essere accettata. Eccola, secondo quanto scrive il Perini:
“Esigivasi l’ingresso in città delle truppe, scortate dalla cavalleria veneziana disarmata e a piedi, la restituzione dei prigionieri, la consegna delle artiglierie, che verrebbero intanto, ad opera dei veneti stessi, inchiodate onde il popolo non potesse nel frattempo servirsene, sedici ostaggi, fra i quali i Provveditori, il Podestà, il Secretario, l’Emilei, il Giuliari, il Verità, i fratelli Miniscalchi, il vescovo Avogadro e il Filiberti e il Maffei, ed il generale disarmo della popolazione che si affettuerebbe il giorno stesso fuori di porta San Zeno a cinquecento passi dal campo francese.
Le ultime due ore
Aggiungevasi poi, né certo senza motivo, una condizione in apparenza assai futile e strana, la quale ha la sua spiegazione ne’ fatti che indi seguirono: ed era che, se una sola vettura, un solo cavallo o un solo uomo escisse nell’intervallo dalla città, il trattato considererebbesi rotto”. (13)
Le condizioni erano così pesanti che la delegazione, nonostante avesse i pieni poteri, chiese ed ottenne una pausa di due ore per conferire con i rappresentanti della città; trascorso il breve intervallo alla delegazione non rimase che firmarla; nel frattempo era giunto a San Felice il generale Kilmaine, che si dimostrò più possibilista dei suoi sottoposti, escludendo il podestà Contarini nel novero di coloro che dovevano essere presi in ostaggio in quanto doveva rimanere al governo della città.
La resa
Nelle ore successive i rappresentanti della Serenissima, il Giovannelli, l’Erizzo e il Contarini pensarono bene di fuggire e si fermarono solo a Padova, perché anche Vicenza poteva essere poco sicura … e così toccò al Civico Provveditore Bartolomeo Giuliari convocare un’assemblea cittadina nella quale tutti furono informati della situazione; fu nominata una nuova delegazione, a fatica si riuscì a convincere il valoroso popolo veronese a cessare le offese, ci furono altri passaggi puramente formali, ma alle ore 8 di martedì 25 aprile, giorno di San Marco, la città si arrese: il gonfalone della Serenissima non sventolava più nella città veronese.
Nel giorno di San Marco cade Verona fedele
E al conte Augusto Verità il Bevilacqua attribuisce questa amara riflessione:
“Così finì quella notte fatale, ed io ritornai a casa di mia madre, ove dissi:
Nel giorno di San Marco la Veneta Repubblica, lo stato di San Marco perde la città più fedele!” (14)
I francesi: siamo qui solo per abbattere il governo tiranno…
I francesi si presero una pausa di un paio di giorni e solo il 27 presero il possesso della città, entrando dalla porta Nuova e da quella di San Zeno; il generale Chabran fece affiggere due manifesti nei quali si spiegava ai veronesi che ai soldati francesi era stato ordinato di rispettare le loro persone, le loro proprietà, la loro religione e i loro costumi, e che, rinunciando ad infliggere la pur meritata punizione, i francesi, veri amici di tutti i popoli e nemici solo dei tiranni dei popoli, si assumevano unicamente il compito di abbattere “il governo tiranno sotto il quale gemeste finora” (15).
Un vero e proprio festival dell’ipocrisia e della cialtroneria …
Confisca del denaro, contribusione di guerra, prestito forzoso…
Il concetto di “rispetto” viene subito applicato dal generale Kilmaine che oltre alla confisca del denaro rinvenuto nella pubblica cassa, impone una contribuzione di guerra di centoventimila zecchini, pari a unmilioneottocentomila lire tornesi (dopo pochi giorni aumentata a due milioni di lire tornesi), una “usanza” applicata dai francesi a tutti le città liberate (altro che liberté, égalitè, fraternité …).
A sua volta la Municipalità democratica il 30 aprile varò un prestito forzoso di duemilioniquattrocentomila lire, e, democraticamente, intimò “alle fabbricerie ed ai corpi morali di consegnare all’erario le argenterie delle chiese, monasteri, conventi ed altri pii luoghi, nel termine di ventiquattr’ore” ( 16).
“Versare tutto il denaro e l’argenteria”
La stessa Municipalità democratica il giorno dopo, I° maggio 1797, emanò il seguente ordine:
“Viene eccitato ogni possidente e comodo cittadino di versare entro ore ventiquattro per quelli di Città, e di tre giorni per quelli di villa in questa cassa Finanze … tutto il denaro e tutta l’argenteria che fosse a disposizione (16)
L’Agnoli sottolinea che a causa della demenzialità l’ordine rimase tale, ma i municipalisti democratici, lo replicarono la prima volta il 5 maggio e una seconda il 15 “minacciando una visita generale per le abitazioni dei ricchi se non ne somministrassero in conformità delle loro forze, e avvertendo che ove le visite riuscissero infruttuose, verrebbero gli occultatori considerati nemici della patria e taciti cospiratori contro la felicità e libertà del popolo”. (17)
La grande rapina al Monte di Pietà
Anche a Verona, come in tutte le città “liberate” da tale masnada di criminali, il Monte di pietà fu il bersaglio privilegiato dai rapinatori francesi; il buon Perini scrive che il generale Kilmaine mise dei soldati a guardia del Monte “a sicurezza maggiore de’ ladri che volean saccheggiarlo. I generali di Francia, d’accordo e condotti da’ loro secreti aderenti, penetrarono nel sacro edificio e vi fecer bottino del buono e del meglio, quegli oggetti soltanto lasciandovi che a motivo del loro volume non erano di facile asporto e non valevano altrimenti a solleticarne e saziarne le cupide brame …
Le ricchezze dell’aristocrazia veronese, frutto del lavoro e del risparmio dei secoli, vennero così sperperate fra un branco di ladri stranieri ed indigeni che in ignobile gara si diviser le spoglie della tradita Verona; e si narra di gente, sorta dal nulla, che si elevava in appresso ad un grado non prima veduto d’agiatezza e d’opulenza e che poteva sfoggiare un lusso di gemme ed argenterie d’assai superiore alle economiche sue condizioni”.
Prelevati milioni e milioni di franchi
Ferruccio Bonafini nel suo “Verona 1797” denuncia come “viene prelevato alla rinfusa tutto ciò che ha valore, e spariscono in tal modo gioielli, argenti e mobili per una somma stimata dai contemporanei in 2.400.000 franchi. La cifra può essere esagerata, ma forse non troppo, se si pensa che tutta la campagna d’Italia fruttò ufficialmente alla Francia una cinquantina di milioni di franchi. Oltre a questi non si saprà mai quanti altri, ma certo furono milioni, finirono nelle casse private degli ufficiali”. (18)
La rapina al Monte di pietà veronese fu di tali dimensioni che perfino Napoleone la definì nelle sue memorie “cette horrible dilapidation”.
Opere d’arte inviate in Francia: la refurtiva è ancora al Louvre…
Continuò altresì la spoliazione delle chiese, dopo aver fuso in lingotti tutti gli argenti, fu la volta delle opere d’arte; in data del 27 fiorile, anno V, era stata istituita una Commission des Arts, presieduta dal generale Bertholet e della quale faceva parte, in veste di esperto artistico-culturale il prof. Appiani con lo scopo “du chois et de l’envelement des object de curiosité contenues en la ville de Verone” e di inviare in Francia tutti quegli oggetti che paressero “dignes d’etre pourtés au Muxeum de Paris” (19) … E al “Muxeum de Paris”, leggi Louvre, troviamo ancor oggi la refurtiva in bella mostra …
Il 7 maggio anche a Verona viene impiantato l’albero della libertà fra l’indifferenza e l’ostilità dei veronesi, giacobini e francesi a parte, naturalmente; albero che appena possibile veniva danneggiato e utilizzato per metterci satire antifrancesi come quella di un sconosciuto (Albero senza raise/ Beretta senza testa/Repubblica senza corona/Municipalità gran busarona) che rimane tale nonostante i giacobini avessero promesso un premio in denaro.(20)
Il feroce generale Augereau
Due giorni dopo, il 9 maggio arrivò a Verona il generale Augereau in sostituzione del Kilmaine; fin dal suo primo discorso disse che era stato mandato per “punire gli uomini perversi che fomentarono la rivolta, seminarono la discordia, suggerirono il tradimento ed eseguirono il massacro… Il Perdono agli autori di tante sventure sarebbe un insulto alla giustizia. Ella dimanda le teste di questi scellerati. Si, saranno recise.” (21)
Il Perini lo definisce “giacobino e terrorista feroce”, l’Agnoli “Una via di mezzo fra il bravaccio, il brigante e il soldato di ventura, coraggioso e privo di scrupoli”, l’individuo si era già distinto in Romagna dove, dopo avere “personalmente svaligiato un Monte di Pietà, riempendosi le tasche di gioielli ed anelli”, non aveva esitato a “far fucilare un suo soldato, che messo di guardia al bottino se n’era approfittato” (22).
Fucilati i patrioti veronesi, la città intera in lutto
Fra una rapina e l’altra, i francesi e i collaborazionisti giacobini incominciarono intanto ad arrestare i patrioti veronesi; nella lunga lista fa scalpore la presenza del vescovo Giovanni Andrea Avogadro, molti nobili, diversi popolani che si erano distinti nella resistenza all’invasore; e già il 15 maggio ebbe inizio il processo nella sala dei cavalieri in palazzo Ridolfi a San Pietro in Carnario che si concluse con la condanna a morte di coloro che furono ritenuti gli ispiratori della rivolta, il conte Francesco Degli Emilei, il conte Augusto Verità e Giovanni Battista Malenza; il giorno dopo ci fu la fucilazione.
Benedetto Del Bene, citato dall’Agnoli, descrive così quei momenti, la sentenza venne “eseguita verso il mezzogiorno del 16, sui bastioni a man ritta di Porta Nuova al cospetto di una turba compatta di volti pallidi e singhiozzanti. Quando uno scoppio omicida annunziò che la sanguinosa tragedia era compiuta, tutte le finestre e le porte si chiusero, e Verona rimase deserta e muta per più giorni; il lutto non era di tre famiglie soltanto, ma d’una città intera”.
La repressione francese
Da quel giorno, 16 maggio 1797, la repressione francese fu spaventosa, bestiale; il vescovo monsignor Avogadro evitò la condanna a morte per un solo voto, previo notevole esborso di denaro raccolto fra i veronesi, poiché come dicevano i romani, “Pecunia non olet”, massima fatta subito propria dagli ultras del “liberté, égalité, fraternité” …
Medaglia commemorativa del bicentenario delle Pasque Veronesi (1797-1997). Ideazione e disegno di Quirino Maestrello su iniziativa del “Comitato per la celebrazione delle Pasque Veronesi” (Collezione Ettore Beggiato).
Il “Comitato per la celebrazione delle Pasque Veronesi” con il segretario Maurizio Ruggiero, ha stilato un elenco dettagliato di ben 227 caduti, da Amicabile Giovanni a Zorneri Giovanni; oltre a questi vanno aggiunti circa 30 soldati della Serenissima caduti il 14 aprile 1797 nello scontro di Desenzano e le più di cento vittime il 20 aprile 1797 alla Croce Bianca di Verona. (23).
La deportazione dei soldati della Repubblica Veneta
Capitolo a parte va dedicato alla deportazione dei soldati della Repubblica Veneta, altra pagina tragica attorno alla quale gli ultras napoleonici cercano disperatamente di alzare cortine fumogene; sempre in un documento del suddetto Comitato si legge, per esempio, citando Girolamo De Medici “Vicende sofferte dalla Provincia Veronese sul finire del secolo XVIII e nel cominciamento del XIX” :
“Tutta la truppa veneta co’ suoi ufficiali, che si trovò rinchiusa tra le mura (di Verona), e circondata dalle truppe francesi nel territorio, fu obbligata a rendersi prigioniera, ed in n° di 2.500 fu condotta a piedi nell’interno della Francia. Gli strapazzi che soffersero massime a Brescia da que’ sedicenti Patriotti [dai giacobini italiani] furono incredibili”.
Gli ufficiali ex Veneti e i giacobini di Brescia
E ancora un anonimo filogiacobino della Storia giornaliera al riguardo aggiunge, in data 20 maggio 1797:
“Vennero 27 Ufficiali ex Veneti rilasciati dal Castello di Milano. La truppa fu mandata nell’interno della Francia, per qual oggetto non si sa. Nel viaggio che dovettero fare a piedi, tanto la truppa, non prima avvezza, quanto gli Ufficiali, furono trattati assai male. Un pezzo di lardo, con un tozzo di negro pane, erano i cibi, e l’acqua la bevanda. Allor ch’entrarono in Brescia furono a peggior passo [condizione]. Que’ Cittadini [i giacobini bresciani] li trattarono da traditori ed assassini, e se non ci fosse stato il distaccamento francese che li scortava, avrebbero ammazzati gli Uffiziali. Il fanatismo (rivoluzionario) in quella città è al suo colmo. Qual delitto aveano mai quelli d’essere maltrattati colle parole e minacciati della vita? Perché aveano impedita la rivolta, che il suo Principe le aveva comandata? ”.
1700 soldati della Serenissima massacrati in Francia
Il 27 luglio 1797, un altro anonimo, l’autore degli Avvenimenti successi in Verona negli anni 1797 e 1798 (entrambi i documenti anonimi si trovano nella Biblioteca Civica di Verona) scrive:
“Per ordine del Generale Bonaparte la Nazion [veronese] deve por in piedi 500 uomini di truppa Nazionale e moltiplicar quella volontaria, denominata sedentaria”. Benedetto del Bene, che ha lasciato delle postille a commento di quel manoscritto, ricorda che il Comandante francese di Verona, Generale Verdier, aveva promesso dei sufficienti aiuti per attuare quel provvedimento, e cioè, come scrive Del Bene, testimone auricolare, oltre ad un’assegnazione di terre sottratte all’Ordine di Malta, “… il ritorno, che si effettuò nove mesi dopo [cioè nell’aprile 1798, con l’attuazione degli articoli di Pace di Campoformio] dei soldati della guarnigion di Verona, che in numero di circa 2.700 condotti via prigionieri dai Francesi, tornarono in men di mille, essendo morti gli altri tutti per disagio, dalle fatiche, e non pochi barbaramente uccisi a fucile quando per la stanchezza non potevano più camminare, come fu raccontato senza diversità da quei che tornarono”.
Si può quindi ipotizzare che ben 1.500-1.700 soldati della Serenissima siano morti nella terra promessa francese, sempre in ossequio al “liberté, égalité, fraternité” …
Ettore Beggiato
Note
- Agnoli F.M., Le Pasque Veronesi, Rimini 1998, pag. 133
- Zorzi A., La Repubblica del Leone, Milano 1982, pag. 507
- Agnoli F.M., op. cit. pag. 138
- Bevilacqua E., Le Pasque veronesi, Verona 1897, pag. 99
- Agnoli F.M., op. cit., pag. 140
- Bevilacqua E., op. cit. pag. 158
- Perini O., Storia di Verona 1790-1822, vol. II, libro VI, pag. 263
- Solinas G., Storia di Verona, Verona 1981, pag. 388
- De Medici G., Storia di Verona dall’anno 1794 al 1800, mns. Presso Biblioteca comunale di Verona
- Agdollo F. Belli C., Relazione sommaria della perdita veneta aristocratica repubblica, Venezia 1798
- Bevilacqua E., op. cit., pag. 283
- Maffei A., Memorie concernenti l’insurrezione di Verona, vol. III
- Perini O., op. cita, vol. II, libro VI, pag. 316
- Bevilacqua E., op. cit., pag. 328
- Idibem pag. 345
- Idibem pag. 356
- Idibem pag. 357
- Bonafini F., Verona 1797, Verona 1997, pag. 136
- Bevilacqua E., op. cit., pag. 358
- Agnoli F.M., op. cit., pag. 214
- Bevilacqua E., op.cit., pag. 366
- Rocca, Il piccolo caporale, Milano 1996, pag. 59
- //pasqueveronesi.it
Nella prima immagine “Combattimenti tra Schiavoni e soldati francesi in Via Mazzanti. Tavola di Silvano Mezzatesta.” tratta dal sito //pasqueveronesi.it
Locandina del docufilm di Tommaso Giusto prodotto su iniziativa del “Comitato per le celebrazioni delle Pasque Veronesi“. Presentato nel 2023 con grande successo di pubblico, a Verona e poi alla Mostra del Cinema di Venezia.